"Un anno coi rom". Storia di un ragazzo italiano volontario in Slovacchia

Un giovane volontario italiano in Slovacchia racconta la sua bellissima esperienza con il popolo Rom.

Davide (a destra) suona e canta con i bambini del centro
Davide (a destra) suona e canta con i bambini del centro
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9 Gennaio 2017 - 19.42


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Mentre il ministro del Lavoro, Poletti, affermava che i giovani che emigrano “è meglio che restino dove sono”, tanti ragazzi come Davide svolgono all’estero attività di studio, formazione e volontariato di cui andare fieri. In disaccordo con la sgradevole frase del Ministro, il nostro augurio è che quest’anno sia caratterizzato dal ritorno di tanti giovani nel nostro Paese arricchiti dalle loro belle e appassionate esperienze oltre i confini. 

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di Davide Madeddu

Il primo impatto coi Rom, con l’interprete ovviamente, è andato più o meno così:

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“Come ti chiami? Da dove vieni? Sei Rom?”

“Davide, Italia, no non sono Rom”

“Allora sei gagio

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Mi sono allontanato di 1450 km dalla Sardegna per farmi dare del gaggio in Slovacchia!

Poi ho capito che i gagé, nella lingua Romanì, son tutti gli altri, tutti quelli che non sono Rom.

L’organizzazione per la quale lavoro si chiama YMCA Revúca, succursale di YMCA Slovakia, attiva dal 1997; dal 2007 si occupa dei Rom attivamente sul territorio e nel 2011 ha fondato il centro dove opero anch’io come volontario, nel piccolo paese di Jelšava. (www.facebook.com/revucaymca)

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Il mio capo si chiama Mirec e ci ha aiutato, ci aiuta, e probabilmente gli toccherà aiutarci anche in futuro, a dialogare con i Rom, a entrare nella loro cultura e mentalità.

E non è stato per niente facile integrarsi all’inizio, conquistare la loro fiducia e il loro rispetto, farsi accettare, capirsi reciprocamente; ma dopo quattro mesi (altri otto me ne aspettano, da settembre 2016 a settembre 2017) i rapporti sono migliorati, abbiamo imparato a conoscerci e ad includerci a vicenda, e in alcuni casi i rapporti sono diventati davvero preziosi.

In questo momento le chiavi di casa mia ce le ha un ragazzo Rom, si chiama Robert, ma tutti lo conoscono come Koky; Koky va a casa mia due volte al giorno, ogni giorno, per dare da mangiare al mio gatto (che si chiama Claudio) e lo fa perché è una bella persona e siamo amici, e anche perché il gatto è irresistibile.

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Koky studia architettura a Bratislava, rientra ogni weekend per stare accanto alla famiglia (ha 13 fratelli e sorelle) e fa il volontario nello stesso centro dove lavoro anch’io.

Majo è figlio di una slovacca e di un Rom, insegna musica ai bimbi che frequentano il centro, assieme suoniamo in una band (con noi suonano anche un tastierista/cantante Rom non vedente e un pastore protestante al basso: tutti bravissimi, io modestamente sono il più scarso).

Sona (si pronuncia come il nostro Sonia) è la prima impiegata (stipendiata) Rom del centro, ci dà una mano nelle attività, fa le pulizie, porta i figli a giocare con noi e, su richiesta del capo, studia inglese e si è reiscritta a scuola per conseguire il diploma.

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Poi ci siamo noi: volontari internazionali partiti col progetto SVE finanziato dall’Unione Europea, incaricati di mandare avanti il centro (che per molti è una seconda casa, un luogo sicuro, un luogo dove poter crescere e giocare), e in tutto siamo sei (un tedesco, una tedesca, una rumena, una portoghese, uno spagnolo e il sottoscritto sardo/italiano: una barzelletta insomma).

E last but not least, ci sono loro chiaramente, i protagonisti della comunità: bambini, adolescenti, adulti, di ogni età, sesso ed estrazione sociale (ovvero dal poverissimo al quasi molto povero) i quali trascorrono il loro tempo con noi, praticando teatro, musica, danza, inglese, sport, canto, educazione civica, gioco, ecc..

La comunità dove viviamo è costuita da 3000 individui, di cui il 40% circa Rom e sono tanti i problemi che riscontriamo ogni giorno: delinquenza e microcriminalità, maltrattamenti in famiglia, alcolismo e droghe, analfabetismo e dispersione scolastica, emarginazione sociale, assenza di norme igieniche.

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Noi cerchiamo di insegnare loro cosa c’è da imitare a questo mondo e cosa c’è da evitare, ci preoccupiamo che si puliscano, che non abbiano pulci addosso, che rispettino gli altri, che siano felici, e che un domani, si spera, possano essere dei buoni cittadini.

Di recente abbiamo lanciato un video promozionale e una campagna di raccolta fondi online (crowdfunding) per riparare alcune parti della struttura dove lavoriamo che sono state prese di mira dai vandali, per acquistare un sistema di videosorveglianza a protezione nostra, ma soprattutto dei bambini, e per sostituire i giochi vecchi e ormai quasi inutilizzabili, con giochi nuovi e nuovo materiale pedagogico, tra cui un impianto audio per le lezioni di danza tradizionale.

La mia speranza è che la sorte del centro e quindi dei bambini che lo vivono, stia a cuore a quante più persone possibile, e se non si può donare, si può sempre condividere la notizia: finché se ne parla, sapremo di non essere i soli che si interessano a loro.

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Questo è il sito della campagna dove potete anche vedere il video: www.generosity.com/community-fundraising/let-s-make-them-happy-everyday

Si dicono tante cose sui Rom, in giro si sentono tanti stereotipi e pregiudizi, si leggono innumerevoli articoli che mirano a fare di tutta un’etnia un covo di delinquenti e ladri: ma io vi ho appena presentato Koky, Majo e Sona, e son pronto a presentarvene tanti altri che, come loro, non ci appiccicano niente con le etichette che abitualmente gli vengono affibbiate.

Per saperne di più basta scrivermi: davva3@gmail.com

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Davide e il suo gatto Claudio 

 

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