Anche il buddismo discrimina le donne?

Al pari di molte religioni e al contrario di quanto si creda, sin dalle origini rigide regole monastiche marcano le distanze con il genere femminile e la sessualità.

Anche il buddismo discrimina le donne?
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22 Gennaio 2016 - 18.02


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L’induismo è patriarcale. Su questo non c’è dubbio. E lo sono anche il cristianesimo e l’islam, il culto sikh e shonto, lo giainismo e il giudaesimo. Ma il buddismo? Non è la prima religione che viene in mente quando si parla di misoginia.
Il presupposto è che il buddismo sia razionale, moderno, agnostico e liberale in tema di genere e sessualità. Libri su libri ci hanno condizionato a vedere il celibe e casto Buddha come un saggio androgino, asessuato, gentile con un sorriso beato. Eppure, alcune delle prime e più sistematiche prove del rifiuto della sessualità femminile nella letteratura indiana vengono da scritture buddiste, soprattutto dalle regole della disciplina monastica (Vinaya Pitaka), tradizionalmente attribuite allo stesso Buddha.

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Regole della disciplina monastica

Considerate questo:

– Ci sono più regole per le monache (bhikkunis) che per i monaci (bhikkus), 331 contro 227, perché se tutti devono controllare i propri desideri, le donne hanno anche il peso di non «risvegliare i desideri degli uomini».

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– Ai monaci viene consigliato di dormire al chiuso, non all’aperto, dopo un incidente in cui delle donne hanno fatto sesso con un monaco mentre lui, sembra, dormiva sotto un albero. I monaci che non si svegliano, o che non cedono alla tentazione nonostante vengano avvicinati da donne per il piacere sessuale, sono ritenuti innocenti e non sono espulsi dall’ordine monastico. I monaci che volontariamente cedono al fascino femminile vengono dichiarati sconfitti (parajita).

– Nella storia di Sudinna, un giovane monaco viola i voti di celibato dopo che i suoi vecchi genitori lo pregano di dare alla moglie, da lui abbandonata, un figlio in modo che la sua discendenza familiare possa continuare. Quando il fatto viene alla luce, il Buddha lo ammonisce così: «Sarebbe stato meglio per te aver messo la tua virilità nella bocca di un serpente velenoso o in una fossa di carboni ardenti che in una donna».

– In una conversazione, il Buddha afferma «Di tutti i profumi che possono rendere schiavi, nessuno è più letale di quello di una donna. Di tutti i sapori che possono rendere schiavi, nessuno è più letale di quello di una donna. Di tutte le voci che possono rendere schiavi, nessuna è più letale di quella di una donna. Di tutte le carezze che possono rendere schiavi, nessuna è più letale di quella di una donna».

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– Ai monaci buddisti, a differenza di altri monaci di quel periodo, non è consentito girare nudi per paura di attirare le donne con il loro fascino, ritenuto maggiore per via della loro castità e celibato.

– Ai monaci viene detto di camminare dritti, senza muovere troppo braccia e corpo, e di volgere lo sguardo al suolo e non davanti, per non rischiare di venire incantati dallo «sguardo di una donna». Ai monaci viene anche suggerito di non camminare con donne sole, o persino di non sedere in compagnia di uomini, perché potrebbe dare luogo a pettegolezzi.

– In una conversazione con Kassappa, Bakulla dice che in 80 anni non solo non ha fatto sesso, ma che non lo ha neanche sfiorato il pensiero delle donne, non ne ha viste né ha parlato con loro.

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– Una volta una donna ha riso e mostrato il suo fascino a Mahatissa, ma lui è rimasto impassibile. Quando il marito gli ha chiesto se trovasse la moglie poco attraente, Mahatissa ha risposto che non aveva visto alcuna donna, solo un mucchio di ossa.

– Nella storia di Sundarasammudha, che lascia sua moglie per diventare un monaco, la moglie avvicina il marito e gli dice, facendo riferimento al sistema ashrama dell’induismo, che dovrebbero godere dei piaceri della vita coniugale finché non diventano vecchi e solo allora entrare insieme nell’ordine buddista e raggiungere il nirvana (liberazione attraverso la cessazione dei desideri). Il monaco risponde che non si assoggetterebbe mai a queste seduzioni che sono le insidie della morte.

– I testi descrivono ripetutamente i monaci celibi come incarnazioni del dhamma (la via all’illuminazione) mentre le insaziabili donne lussuriose sono descritte come incarnazioni del samsara (il ciclo di morte e rinascita).

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– Sangamaji lascia moglie e figlio per diventare un monaco. Un giorno, sua moglie e suo figlio vanno da lui e lo pregano di tornare ma lui non risponde, e non mostra alcun segno di istinti maritali o paterni e così viene lodato dal Buddha per aver raggiungo un vero distacco e illuminazione. Un vero monaco, per cui «la sessualità femminile è come il battito d’ali di un moscerino dinanzi a una montagna» è un vira (eroe).

– Buddha fa entrare il suo fratellastro Nanda nell’ordine monastico ma Nanda si è impegnato a sposare la donna più bella del paese e si strugge per lei. Allora Buddha gli mostra le ninfe celesti che vivono nel paradiso dei 33 dei (lo Swarga dei Purana indù). Buddha chiede a Nanda se la sua fidanzata è bella quanto queste ninfe, e Nanda risponde che è come una scimmia deforme in confronto a loro. Buddha dice che se continua a camminare sulla via del dhamma rinascerà in quel paradiso e potrà godere di quelle ninfe. Spinto da questo pensiero, Nanda si impegna attivamente e con diligenza nelle pratiche monastiche. Nel momento in cui raggiunge l’illuminazione, tutti i desideri per le ninfe e per la fidanzata sono svaniti.

– Vari tipi di queer (pandaka) sono indicati come coloro che non dovrebbero essere ordinati monaci. Questi includono ermafroditi, transessuali, eunuchi, travestiti e uomini gay effeminati. Questo viene fatto tramite storie di monaci che vengono sedotti, o corteggiati, da pandaka, e anche perché i custodi di una vicina stalla per elefanti prendono in giro un monastero perché uno dei suoi membri è un pandaka, che tenta costantemente di sedurli.

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– Gli ermafroditi femmina, donne che vestono come uomini, o quelle di sessualità deviante o semplicemente chi non sembra una donna ed è “mascolina” non possono essere ordinate monache.

– Ci sono regole riferite alla bestialità. I monaci vengono messi in guardia contro il troppo affetto per le vacche e le scimmie femmina.

L’influenza del codice

Inizialmente, nessuna di queste restrizioni era codificata. Non c’era il Vinaya Pitaka. Ma poi in monastero sono entrate molte persone (vihara) che hanno iniziato a comportarsi in modi considerati indegni dei monaci e dei cercatori della buddità, e che hanno perfino iniziato a prendere in giro il metodo buddista. Così per proteggere la reputazione del dhamma e del sangha, Buddha ha iniziato a imporre queste regole.
Questi codici sono stati compilati oralmente e narrati da Upali (un barbiere prima di diventare uno dei dieci principali discepoli del Buddha) nel primo concilio buddista, un anno dopo la morte del Buddha. Questo è accaduto 2.600 anni fa. Mille anni dopo, queste regole venivano sistematizzate e codificate da un Buddhaghosha che viveva nel monastero di Anuradhapura nello Sri Lanka.
Nel momento in cui è arrivato l’islam, il buddismo aveva già invaso la maggior parte dell’India. Ma l’idea buddista che equipara la sessualità delle donne a insidia e contaminazione era presente negli ordini monastici indù (mathas), soprattutto in quelli di Adi Shankara. Shankara è stato spesso chiamato dai suoi critici un buddista con influenze indù. Nel suo ordine monastico ha fatto un passo ulteriore: non c’erano monache.
Se crediamo nella teoria che «Gesù è vissuto in India», questo codice monastico potrebbe persino aver influenzato l’atteggiamento misogino al di fuori dell’India – anche nel cristianesimo, perché mentre il Buddha ha abbandonato sua moglie, Yashodhara, Gesù non si è mai sposato. È significativo che Buddhaghosa sia vissuto nello stesso periodo in cui Sant’Agostino di Hippo ha esposto il suo tropo anti-sesso e misogino nella Chiesa cattolica.

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Buddismo “buono”, induismo “cattivo”

È interessante che in tutti i saggi sul patriarcato e sulla misoginia relativi all’India, gli studiosi citino il Ramayana e il Manu Smriti, che però storicamente sono stati scritti dopo il Vinaya Pitaka. Buddha è vissuto in epoca pre-Mauryan mentre il Ramayana, con la sua enfasi sulla monarchia, è stato scritto in epoca post-Mauryan. Le tesi di tradizione orale o basate sull’astrologia che datano il Ram in epoca pre-buddista convincono solo i nazionalisti, non gli storici. Manu Smriti e altri dharmashastra sono stati scritti nell’epoca del Gupta quando i bramini giocavano un ruolo chiave nella legittimazione della monarchia nella maggioranza dell’India peninsulare. I rituali vedici pre-buddisti parlano della sessualità femminile in termini positivi perché si interessano principalmente di fertilità e benessere generazionale. Gli Upanishad pre-buddisti non si preoccupano troppo delle relazioni di genere e sono più interessati alla metafisica. La maggior parte della letteratura buddista è stata messa per iscritto molto dopo i testi sanscriti (gli editti Ashokan in Prakrit risalgono a 2300 anni fa; le prime iscrizioni reali sanscrite risalgono soltanto a 1900 anni fa). Questo fa dei testi buddisti lo spartiacque della letteratura indiana, dopo di che la femminilità viene vista come contaminante, ostacolo alla via della saggezza.
Potremmo, naturalmente, obiettare che la maggioranza dei buddisti colti era composta originariamente da bramini che quindi hanno trapiantato il patriarcato indù nel buddismo, che il Buddha non aveva questa intenzione. Possiamo insistere che sono i Veda e soltanto i Veda, la fonte della misoginia. Questo segue l’impostazione della struttura del buddismo “buono” e dell’induismo “cattivo” che troviamo nella maggioranza dei testi accademici coloniali e post-coloniali.
Il completo silenzio sulla misoginia così fermamente radicata nelle scritture buddiste, e che risale al Buddha, è davvero notevole. La ricerca su questo aspetto è nota ma limitata ai circoli accademici. Troviamo Buddhism after Patriarchy di Rita Gross e Bull of a Man di John Powers, per esempio. Ma c’è un forte desiderio in questi libri di glissare sul patriarcato, invece di mettere il riflettore su di esso. È quasi come se gli studiosi fossero irritati, e perfino imbarazzati, perché i fatti contraddicono le idee contemporanee sul Buddha.
Abbandonare il sesso, che di fatto significa abbandonare le donne, per uno scopo “più alto” – che sia l’illuminazione o la spiritualità o servire la nazione – da allora è diventato un modello in voga, adottato da sette religiose e partiti politici come il Rashtriya Swayamsevak Sangh. È stato esaltato e valorizzato come il perfetto indicatore di mascolinità e purezza. Uno dei maggiori contributi a questa idea è attribuibile al Vinaya Pitaka del Buddha, che ha abbandonato sua moglie senza il consenso di lei.

Devdutt Pattanaik, [url”Quartz India”]http://qz.com/586192/theres-a-misogynist-aspect-of-buddhism-that-nobody-talks-about/[/url]

Traduzione di Flavia Vendittelli

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