Poi ci fu quello del reporter Usa, Steven Sotloff, dell’operatore americano Abdul-Rahman Kassig, dei britannici David Haines e Alan Henning e del giornalista giapponese Kenji Goto.
Nei video dove annunciava le macabre esecuzioni degli ostaggi stranieri era sempre comparso con il volto coperto da un passamontagna, completamente vestito di nero e con un coltello in mano. Un anno dopo l’esecuzione di James Foley, il boia venne identificato; mesi dopo i giornali britannici pubblicarono una foto con il suo vero volto. E i dettagli sul suo passato.
Nell’ultimo numero di Dabiq, la pubblicazione in inglese dell’Isis, ‘Jihadi John’ è ricordato con un vero e proprio necrologio, accompagnato da una foto, nel quale viene chiamato Abu Muharib al-Muhajir. Nell’articolo si racconta che la madre del boia era yemenita e che lui era cresciuto a Londra, “un luogo che odiava come odiava i suoi infedeli abitanti”. Mohammed Emwazi era uno degli uomini più ricercati al mondo, da quando comparve la prima volta in video nell’agosto del 2014 per annunciare la decapitazione del giornalista americano James Foley. Seguirono i filmati delle macabre uccisioni di un altro giornalista Usa, Steven Sotloff, del cooperante americano Abdul-Rahman Kassig, dei britannici David Haines e Alan Henning e del giornalista giapponese Kenji Goto. Da allora, Emwazi è diventato l’obiettivo dei servizi segreti e degli attacchi delle forze americane in Siria. Lo scorso novembre la notizia che un drone americano lo aveva colpito a morte a Raqqa, in Siria. Nessuna conferma ufficiale è mai arrivata né da Washington né da Londra anche se il Pentagono dichiarò che c’era la “ragionevole certezza che Jihadi John è morto” e il premier britannico David Cameron si affrettò a dire che l’attacco vicino alla roccaforte di Raqqa è stato uno sforzo congiunto di Gran Bretagna e Stati Uniti.