Ad Addis Abeba nel sole della vita

Ogni specchio della realtà Etiope è incentrato sulla luce. Il lento ritmo del coltivare, che segue il ciclo delle stagioni raccontato dalla delicata penna di Sara Datturi.

Ad Addis Abeba nel sole della vita
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redazione Modifica articolo

16 Settembre 2015 - 23.40


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da Addis Abeba

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Sara Datturi

La luce, il sole della vita, dell’esistenza che si mischia e si tramuta in tanti fiumi e note, fa le capriole con i sentimenti e le emozioni che un certo tipo di realtà e persone sono capaci di donarti strozzandoti il cuore catapultandolo nella luna.

Ogni specchio di questa realtà Etiope è incentrato sulla luce. Il lento altalenante ritmo del coltivare, che paziente segue il ciclo delle stagioni, che tramuta in frutto grazie all’acqua e il sole. La trasformazione costante di Addis grazie alle tante persone che ci lavorano per dare elettricità a fabbriche, quartieri di diplomatici, banchieri e della movida quando i loro figli possono fare i compiti solo alla luce di tante candele.

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Candele che sono presenti nelle chiese, che sono elette ed abbracciate nei tanti luoghi di culto di questa città fiore nuovo di un progresso che solo pochi hanno, ma che troppi sognano, vogliono, a cui disperatamente s’aggrappano.

Rabbia, rancore per una solitudine che mangia il cuore, a cui t’aggrappi e desideri toglierti come vestiti troppo stretti, inutili fantasmi in una realtà globale dove le priorità sono al contrario nella trama d’un quotidiano dove s’affrontano dilemmi di vita e di morte, dove milioni di persone combattono per avere dignità, rispetto ed eguaglianza.

Vorrei poterti amare tranquillamente senza dover lottare per un tuo sguardo, parola, carezza.
Ma l’amore c’è, è in ogni sfera di questa vita, soprattutto in questo luoghi nel nord del paese dove le nuvole sono così bianche da sembrare zucchero filato, il verde intenso della stagione della pioggia che abbraccia e sensuale accarezza l’arancione marrone delle pietre. Tutto è al posto giusto, un tassello di puzzle che m’accoglie e mi risveglia dal torpore, dall’abitudine della “bella” vita. Siamo così bisognosi di connetterci, sentire e sentirci, alla ricerca costante d’emozioni intense d’un passato che non torna, ma si trasforma.

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Spiritualità, luce nel buio, stelle che come cascate si riversano nei nostri cuori innamorati del caldo sole del nord, eterni marinai che dormono inquieti pronti a salpare per un’altra avventura.

Ripercorro i corridoi d’un ufficio che è diventata la mia realtà quotidiana, mi soffermo su tutti i sorrisi, le rughe, gli animi inquieti, ascolto questa lingua tanto criptica quanto familiare, bella e misteriosa come la sua gente. Abbracci che vorresti potessero rimanerti dentro per sempre.
Nostalgia di qualcosa che non s’è ancora vissuto. Consapevolezza d’avere il cuore spezzato in fondo, dentro, alla dolce ricerca di farlo diventare lentamente un patchwork di nuovi colori, luce e vita.

Alla luce della notte,

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candele intermittenti

di fuochi

lontani

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lucciole di città

che barcollanti ed

ubriache

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vogliose

s’immergono

nel frutto

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del sole

inutile scrigno di verità

allucinogene

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voragini

di crescita

Il desiderio

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Di qualcosa

Che si sa di non poter donare

L’esigenza

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Di lotta comune

Dove la luce ombrosa

Dell’umana contraddizione

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Può

Trovare pace

Per questa giostra increspata

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Nel fiume di stelle

Nelle vette

Nel nostro gheralta.

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