Migranti, il Pentagono: crisi che durerà 20 anni

Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate Usa, si dice preoccupato. L'Onu: 200mila profughi da ricollocare

Migranti, il Pentagono: crisi che durerà 20 anni
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4 Settembre 2015 - 09.19


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“Un’emergenza enorme, una crisi reale”, così il generale Martin Dempsey, uno dei massimi vertici del Pentagono e capo di stato maggiore delle forze armate Usa, ha definito l’esodo di migranti e rifugiati dalla Siria e dal Nordafrica verso l’Europa.

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In una intervista esclusiva alla Abc, Dempesy si è quindi detto “preoccupato” e ha sottolineato la necessità per tutti di agire “sia unilateralmente che con gli alleati”, considerando ciò che sta avvenendo “come un problema generazionale” e mettendo sul piatto adeguate risorse che permettano di affrontare la crisi per almeno 20 anni. A proposito della drammatica fotografia del bimbo siriano di tre anni morto su una spiaggia della Turchia, Dempesy ha auspicato che quella immagine “abbia un simile effetto a quella del 1995 del mortale attacco con i mortai alla piazza del mercato di Sarajevo, che spinse verso l’intervento della Nato in Bosnia”, cioè spinse la comunità internazionale ad agire con maggiore efficacia per trovare una soluzione ad una drammatica emergenza.

Duecentomila da ricollocare. L’Alto commissario Onu per i rifugiati Antonio Guterres ha esortato oggi l’Ue a mettere in atto un “programma di ricollocazione di massa” con la partecipazione obbligatoria di tutti gli Stati membri per un numero stimato di circa 200mila rifugiati.

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Scontri sul treno. Il treno gremito di migranti partito da Budapest verso Sopron, (alla frontiera verso l’Austria) si è fermato a Bicske dove funziona un campo profughi. I poliziotti hanno tentato di far scendere tutti quelli che non hanno documenti ma i profughi si rifiutano e scandiscono “No camp”. Sono quindi scoppiati tafferugli tra i migranti e la polizia, riferisce la Bbc. Una coppia con un neonato si è sdraiata sui binari, minacciando il suicidio; la polizia ha ammanettato il padre del piccolo costringendo la famiglia a desistere dal gesto.

Altre decine di profughi partiti con un treno da Budapest sono stati fatti scendere a Gyor, nell’Ungheria nordoccidentale, nei pressi del confine con la Slovacchia.

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