Balcani: trionfo di jugonostaglia

Il 35mo anniversario della scomparsa di Tito ha rimesso per un giorno d’accordo gli abitanti della ex Federazione, uniti nel rimpiangere “l’unico leader”<br>

Balcani: trionfo di jugonostaglia
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6 Maggio 2015 - 19.40


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Hanno aspettato in coda fin dal primo mattino, per poter entrare e rendere omaggio, per pochi minuti, a quello che per loro resta l’unico leader esistito dal dopoguerra a oggi. Il 35esimo anniversario della morte di Tito è stato segnato da un fiume di cittadini provenienti da Croazia, Bosnia, Montenegro, Macedonia che si sono assiepati davanti alle porte della Casa dei Fiori, a Belgrado, per avvicinarsi alla tomba del Maresciallo Tito custodita nel mausoleo. Anziani nostalgici accompagnati dalle famiglie hanno issato le bandiere della Jugoslavia, e qualcuno ha pensato anche di far indossare ai nipotini la sua vecchia divisa di giovane “Pionir” comunista.  

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“Con lui eravamo rispettati, avevamo tutti i diritti, l’assicurazione sanitaria e l’istruzione. Abbiamo costruito un Paese, a differenza della gioventù di oggi che non ha un minimo di prospettiva” dice Marina Jovanovic di Zemun. Georgi Nikolov è arrivato invece da Kocani, in Macedonia, con altri 40 concittadini. “E’ il 13esimo anno di fila che vengo qui – dice – e così sarà finché mi regge la salute”. Dragan Lazic ha fatto un viaggio più breve perché viene da Trstenik, in Serbia centrale. “Vengo ogni 4 e ogni 25 maggio, per l’anniversario del suo compleanno. Perché? Mi piace risentire la sensazione di quei tempi e riportare alla luce i bei ricordi”. Secondo Sevala Begetic di Tuzla, in Bosnia, “quando c’era Tito tutti potevano viaggiare, e se chiedevi qualcosa lo ottenevi. Adesso non c’è niente per nessuno”. A chi osserva che si trattava pur sempre di un regime dittatoriale, Sevala risponde che “c’era molta più libertà allora di oggi. Non erano importanti, a quei tempi, il nome o la nazionalità di appartenenza”. Ana Radic, portavoce del museo, garantisce che non si tratta di un gruppetto isolato di nostalgici.

“Ogni 4 maggio – dice – i visitatori alla Casa dei Fiori sono fra i 2.000 e i 5.000”. Dal 1980, anno della morte di Tito, i visitatori sono stati oltre 17 milioni. Secondo Branka Prpa, docente di storia a Belgrado, la fascia di popolazione più affezionata non è solo quella anziana, che ricorda con nostalgia i bei tempi andati. “Il fenomeno più interessante – dice – è quello che coinvolge le nuove generazioni. In poche parole, ai giovani Tito piace. Oggi vivono in quel poco che è rimasto di uno Stato scomparso, scontano il senso di inferiorità avvertito dalle loro élite politiche, e dunque soffrono loro stessi di un senso d’inferiorità. Hanno bisogno di un punto di riferimento e lo cercano tornando indietro nella storia, fino ad individuare un momento in cui questa sensazione non esisteva”. Un indicatore evidente di quanto Tito piaccia ai giovani è proprio il numero delle loro visite al museo di Belgrado.

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Tutti gli anni, ricorda la Prpa, arrivano gruppi di motociclisti da tutta la ex Jugoslavia. Qualunque revisione storica si possa fare dell’epoca di Tito, secondo la docente, resterà sempre valida la componente del fascino personale del leader jugoslavo, “un cattivo ragazzo solo per il fatto che era comunista”, amante degli oggetti di lusso e delle belle donne. La figura storica rischia per diversi motivi di trasformarsi in un oggetto di idolatria collettiva, secondo Lazar Dzamic, stratega per il settore digitale di Google. “L’idolatria non è mai una cosa positiva per la democrazia – dice – e tutti i miti non sono altro che  il tentativo di spiegare la nostra storia e l’ambiente in cui abbiamo vissuto, trovando una ragione per quello che abbiamo perduto. Il mito cerca sempre di dare una spiegazione a ciò che non è spiegabile, e noi cerchiamo di creare una narrativa perché l’essere umano funziona così, accetta la realtà attraverso i racconti”. Il mito, dice Dzamic, vive di meccanismi molto antichi, che sono rimasti gli stessi nei secoli.

“Qualche decennio fa  avevamo solo 7 canali per creare un mito, oggi ne abbiamo 70. Se però i miti sono privi di sostanza, oggi come allora si riducono a pura propaganda e non si può prendere in giro la gente a lungo. Tito di sostanza ne aveva, e questo è un fatto innegabile”.  La voce più critica, nel giorno della commemorazione, si leva dall’estero con un articolo infuocato del “Frankfurter Allgemeine Zeitung”. “L’esperimento dell’autogoverno dei lavoratori – dice – è sopravvissuto solo grazie ai prestiti concessi da Ovest e alle materie prime fornite da Est. Gli eredi di Tito si sono ritrovati con una montagna di debiti che sono cresciuti fra il 1971 e il 1983 fino a 20 miliardi di dollari”. Se dal punto di vista economico il sistema altro non era che “una bolla” in attesa di scoppiare, dal punto di vista politico la dittatura implicava metodi non certo teneri con gli avversari.

Il giornale tedesco ricorda il caso di Ljubo Sirc, intellettuale sloveno che da giovanissimo, dopo aver preso parte alla Resistenza contro l’invasione dell’Asse durante la Seconda guerra mondiale, nell’immediato dopoguerra cercò di organizzare un movimento di opposizione liberale al regime comunista. Fu condannato a morte con l’accusa di essere “una spia britannica”, e la pena fu poi commutata in 20 anni di carcere duro. Dopo 7 anni di isolamento Sirc riuscì a fuggire in Occidente e salvare così la propria vita, mentre furono meno fortunate le 4.000 vittime del “Terrore rosso” rinvenute in una fossa comune in Slovenia, ricorda ancora il quotidiano di Francoforte.

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La scoperta della fossa non aveva impedito al sindaco di Lubiana di intitolare nella capitale una via a Tito, provocando la reazione di Sirc: “Non mi vergogno di essere sloveno per quello che è successo in passato – aveva detto – ma perché vi sono ancora molti che ancora oggi lo ritengono giusto”. Sia come sia, l’anniversario della morte di Tito è stata ricordata anche attraverso degli inusuali annunci mortuari pubblicati sui quotidiani di Serbia, Montenegro, Bosnia e Croazia. 

Associazioni di veterani e semplici famiglie hanno firmato gli annunci che mostravano una foto del Maresciallo, il simbolo della Stella rossa e spesso una scritta a commento. “Dopo Broz, c’è solo il declino”, diceva quella pubblicata in un giornale montenegrino, senza possibilità di appello. 

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