Giovanni Lo Porto: ucciso in un raid Usa

Il cooperante italiano era ostaggio da tre anni: morto a gennaio 2015 durante un raid compiuto da un drone della Cia.

Giovanni Lo Porto
Giovanni Lo Porto
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23 Aprile 2015 - 15.43


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Giovanni Lo Porto, il cooperante da tre anni ostaggio in Pakistan, è stato ucciso da un drone della Cia a gennaio 2015: l’obiettivo dell’aereo militare senza pilota della missione americana era un compound di Al Qaeda. Lo Porto si trovava era nell’edificio colpito con altri ostaggi americani. La notizia è stata data dall’agenzia americana Dow Jones che cita alti ufficiali americani.

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Lo Porto, era nato a Palermo 40 anni fa, si era laureato alla London metropolitan University e alla Thames Valley University. Prima di collaborare con Welthehungerhilfe aveva lavorato in qualità di ‘project manager’ con il Gvc, Gruppo volontario civile di Bologna, con Cesvi Fondazione Onlus e con Coopi Cooperazione Internazionale. La Welthehungerhilfe era un’organizzazione umanitaria privata, senza scopo di lucro, laica e politicamente indipendente. Lo Porto è stato sequestrato nel 2012: al momento del sequestro si trovava in Pakistan, nella regione del Punjab, al lavoro su un progetto finanziato dall’Unione Europea per portare aiuto alle famiglie colpite, tra 2010 e 2011, dal terremoto e dalle alluvioni nella zona di Kot Addu.

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Renzi:
“L’Italia porge le più sentite condoglianze alla famiglia di Giovanni Lo Porto”, ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi che esprime “profondo dolore per la morte di un italiano, che ha dedicato la sua vita al servizio degli altri”

Chi era Giovanni Lo Porto? Giovanni Lo Porto è stato rapito tre anni fa, il 19 gennaio 2012, insieme a un collega tedesco in Pakistan, dove lavorava per la ong tedesca Welt HungerHilfe (‘Aiuto alla fame nel mondo’) impegnata nella ricostruzione dell’area messa in ginocchio dalle inondazioni del 2011. Quattro uomini armati li prelevarono con la forza nell’edificio dove lavoravano e vivevano con altri operatori a Multan, al confine tra Pakistan e Afghanistan. Il collega Bernd Muehlenbeck è stato liberato lo scorso 10 ottobre.

Dopo la liberazione il cooperante tedesco raccontò che i rapitori avevano portato altrove già da un anno il collega italiano. Chi ha lavorato con Lo Porto lo descrive come una persona molto accorta e preparata. Il suo professore alla London Metropolitan University, dove Lo Porto ha studiato, lo ha ricordato tempo fa come uno studente “appassionato, amichevole, dalla mente aperta”. “Mi disse: ‘Sono contento di essere tornato in Asia e in Pakistan. Amo la gente, la cultura e il cibo di questa parte del mondo'”, perché “il Pakistan era il suo vero amore e sentiva di aver operato bene, stabilendo dei buoni rapporti con la popolazione”.

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I suoi amici di Londra organizzarono una petizione già nel dicembre del 2013 in cui chiedevano a chiunque avesse qualche influenza di adoperarsi per la sua liberazione. Iniziativa replicata il 19 gennaio del 2014, per l’anniversario del suo rapimento, con l’appello lanciato dal Forum del Terzo Settore al governo italiano e ai direttori dei giornali “per rompere il muro del silenzio”. La vicenda però si è ingarbugliata fin dall’inizio, con la rivendicazione di al Qaeda del sequestro, subito smentita. Più volte il Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP), principale movimento armato anti-governativo, ha negato di avere in mano Lo Porto.

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