Come Tito imbrogliò Stalin
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Come Tito imbrogliò Stalin

Riaffiorano teorie, polemiche e carteggi sul rapporto che lo legò al Maresciallo e alla nascita della Jugoslavia

Come Tito imbrogliò Stalin
Il maresciallo Tito
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3 Aprile 2024 - 02.29


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Le leggende attorno al partigiano Tito non hanno risparmiato nessun aspetto della sua biografia: le più diverse teorie, più o meno fondate, lo vedono talvolta come un agente sovietico infiltrato o come uno straniero, russo o polacco, che nei discorsi ufficiali non riusciva a pronunciare bene la supposta lingua di origine croata. Altre voci lo vedono di origini ebraiche, altre lo vogliono affiliato alla massoneria ed infine vi sono quelle che, al limite del gossip, vanno a scandagliare nella vita privata fino a tramutarlo nel figlio illegittimo di Winston Churchill. E’ proprio il rapporto con quest’ultimo che, al di là di ogni ipotesi, ha destato da sempre la curiosità degli studiosi internazionali, a cominciare dalla scelta dello statista britannico di appoggiare un partigiano a scapito di altre forze non comuniste nel movimento di liberazione dal nazismo.

Nel 50esimo anniversario della morte di Winston Churchill, lo storico di Belgrado Predrag Markovic esamina il ruolo dei britannici e dei loro servizi segreti nella fase della nascita del potere di Tito, in piena Seconda  guerra mondiale. Markovic intende così smontare un’altra delle tante ipotesi fiorite negli anni, ovvero quella secondo cui Tito sarebbe riuscito “ad ingannare” il liberale Churchill sulla reale intenzione di costruire una Jugoslavia democratica. Certo è che fin dall’inizio Churchill mostrò particolare interesse per l’area dei Balcani occidentali, e salutò con entusiasmo il golpe assestato con il sostegno degli inglesi per deporre il reggente Principe Paolo Karadjordjevic, due giorni dopo la sua adesione al Patto dell’Asse. “Tutti i giornali, quel 27 marzo (1941, ndr) riportavano la frase di Churchill secondo cui ‘finalmente gli jugoslavi hanno trovato la loro anima’”, ricorda Markovic.

Al colpo di Stato seguì l’invasione tedesca, la fuga a Londra del nuovo regnante, il Principe ereditario Pietro, e l’instaurazione a Belgrado di un governo collaborazionista. Quest’ultimo fu contrastato sia dai conservatori e pro-monarchici cetnici del generale Dragoljub Mihajlovic che dai  partigiani di Josip Broz Tito: dopo un iniziale sostegno ai primi, a sorpresa nel ’43 Churchill decise di appoggiare i secondi. “Qui nasce la leggenda sul fatto che Tito sia riuscito ad ingannare Churchill”, dice lo storico.

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L’inganno sarebbe stato doppio, sia perché Tito sarebbe riuscito a convincere che i cetnici facevano il “doppio gioco” guadagnando così terreno, sia perché avrebbe promesso una Jugoslavia democratica. Markovic ricorda a tale proposito anche alcune dichiarazioni fatte successivamente dallo stesso Tito.  “Nell’agosto del 1944 – dice Markovic – il Maresciallo confessò allo statista britannico: ‘Sono particolarmente irritato dalle domande che vengono continuamente poste sul comunismo in Jugoslavia. In modo assolutamente categorico ho detto che non ho intenzione di introdurlo.  Per questo vi sono numerose ragioni. Tutti i Paesi europei dopo la guerra devono avere un sistema democratico, e la Jugoslavia non deve essere diversa”. Le decisioni della dirigenza politica britannica, sottolinea Markovic, non sono state certo dettate da una enorme dose di ingenuità, ma più probabilmente da un freddo calcolo per ridurre i danni al minimo.

“Il sostegno ai partigiani – conclude Markovic – poteva ad esempio diminuire l’influenza sovietica su di loro”. Di diverso parere è lo scrittore e produttore televisivo britannico Peter Batty, che nel 2011 ha pubblicato un libro intitolato proprio “Churchill gabbato”, ovvero come Tito tradì la sua fiducia. “Intere comunità furono massacrate e interi villaggi rasi al suolo”, dice Batty, che in un altro punto precisa: “Sotto il velo romantico di una guerra di liberazione patriottica, la preoccupazione principale di Tito era quella di condurre una guerra civile (…). In essa morirono più jugoslavi che non per mano tedesca”.

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Secondo Batty, alla fine dei conti, Churchill era stato generoso nel rifornire di armi e denaro i partigiani, ma invece di attaccare i nazisti Tito si organizzò per uccidere i propri oppositori politici. David Stafford, professore dell’Università di Edimburgo e noto studioso della biografia di Churchill, non concorda con la teoria di Batty innanzitutto perché “non era poi così semplice” gabbare Churchill.

“Su cosa verte il libro di Batty? – scrive in una recensione – In sostanza dice che Tito fu l’uomo che convinse un primo ministro anti-comunista a dare pieno appoggio a lui, tagliando al contempo tutti gli aiuti alle altre forze anti-comuniste che formavano la resistenza contro i tedeschi”. La decisione di Churchill a favore di Tito era basata sui resoconti di due consiglieri che godevano della sua massima fiducia, Fitzroy Mclean e William Deakin. Furono i loro dispacci, ricorda Stafford, che indussero Churchill a sostenere Tito a scapito del cetnico e monarchico Mihajlovic.

A prevalere fu certamente anche la Realpolitik, ricorda infine Stafford, in un momento in cui il tradizionale nemico sovietico era divenuto un alleato  prezioso contro i tedeschi. “Mantenere l’alleanza anglo-sovietica era un imperativo assoluto per i britannici nella campagna contro Hitler, e il supporto di Stalin a Tito era saldo in quel momento (…). Continuare a sostenere Mihajlovic poteva essere come gettare polvere negli occhi a Stalin”. Stafford cita infine le parole di uno dei due inviati, Fitzroy Mclean, che nel 1987 ha spiegato “come andarono le cose” nel corso di un evento organizzato dal Churchill Centre.

“Nel 1942 il primo ministro cominciava ad avere dei dubbi sulla giustezza della politica britannica in Jugoslavia. Fino a quel momento avevamo appoggiato i cetnici di Mihajlovic. Ora, per segnali intercettati dal nemico di cui io naturalmente non ero a conoscenza, sembrava che i partigiani di Tito potessero essere una scommessa migliore. Mi volle sul campo come brigadiere, a capo di una missione militare britannica che andasse dai partigiani, nonché come suo rappresentante personale per capire, come disse lui in maniera piuttosto brutale, ‘chi sta ammazzando più tedeschi, e come possiamo aiutarli ad ammazzarne ancora di più’. (…)Trovai che Tito era un uomo rude, attento, perspicace, sulla cinquantina, a capo del più abile movimento di resistenza che chiunque al di fuori della Jugoslavia potesse mai immaginare (…). Non fece mistero sul fatto di essere comunista, ma per essere un comunista (e io avevo vissuto tre anni a Mosca, quindi sapevo tutto di loro) dimostrava una sorprendente indipendenza mentale, e soprattutto un intenso orgoglio nazionale che non coincideva per nulla con la mia idea di agente russo”. Il risultato dell’indagine su riportato da Mclean a Churchill via radio. “in base ai miei rapporti fu deciso di dare supporto a Tito e ai partigiani. Ritenevo fosse giusto a quel punto ricordargli che i partigiani avevano una guida comunista. ‘Intende forse stabilirsi in Jugoslavia dopo la guerra?’, mi chiese, e io risposi di no. ‘Nemmeno io, e date queste premesse, non ritiene che sia meglio lasciare che gli jugoslavi se la sbrighino da soli con la loro propria forma di governo?’”. Il resto è storia nota.

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(Fonti: Nin – “Hoodwinking Churchill: Tito’s great confidence trick” di Peter Batty – The Churchill centre – Daily mail)

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