La svolta turca sui curdi di Kobane: ecco perché

Inversione di rotta per i disordini scoppiati sul suo territorio: adesso teme la nascita di un esercito curdo organizzato, e fa ricorso a Ocalan.

La svolta turca sui curdi di Kobane: ecco perché
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27 Ottobre 2014 - 11.00


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L’inversione ad “U” del governo turco sulla questione del sostenere i curdi di Kobane ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Solo pochi giorni fa, la Turchia si rifiutava di inviare aiuti umanitari perfino ai combattenti curdi sotto assedio che lottano per non far cadere la città nelle mani dei jihadisti, ed ora apre il suo confine per consentire all’esercito dei “pesmerga” del nord dell’Iraq di passare attraverso il suo territorio per raggiungere la città assediata Allo stesso tempo, si accelera il processo di soluzione dei drammatici contrasti con i curdi di Turchia.

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“C’era il forte pericolo di una guerra civile simile a quella di Siria, il governo turco ha riesaminato la questione curda subito dopo gli incidenti del 6-8 ottobre, scatenati prioprio dalla situazione a Kobane. Forse ad Ankara ganno concluso che se non ci fossero stati sviluppi immediati della questione curda non c’era pericolo di una guerra civile di tipo siriano, e credo che abbiano avuto ragione nel fare questa scelta avevano ragione ad agire come tale”, è la valutazione dell’ analista politico Hüseyin Yayman, che è un membro del comitato di” saggi ” formato in Turchia come organo di consultazione sulla “questione curda”.

Yayman forse ha ragione, dal momento che durante la rivolta dei curdi 35 persone erano state uccise in appena 48 ore, e nella maggior parte non per colpa della polizia. Alcune delle vittime erano state ritenute ritenute esponenti dello Stato islamico e sono state uccise solo perché erano andate a pregare nella moschea, mentre i gruppi di islamisti hanno inciato altri solo per il fatto di essere curdi.

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“Il primo ministro nel corso di un incontro dedicato alla situazione ci ha detto che la regione turca di Suruts è la nostra Kobane, aggiungendo che c’era stato un qualche tipo di accordo su tale questione per un certo tempo, ma che non era stato reso pubblico a causa degli ostaggi turchi detenuti dallo Stato islamico. Il rapido cambiamento nella politica della Turchia penso dunque debba attribuito agli eventi del 6-8 ottobre, quando ci è resi conto che qualcosa doveva essere fatto immediatamente su tutti i fronti – continua Yayman – la storia della questione curda è stata scritto a Kobana”.

“La condizione di Kobane oggi é assolutamente preminente, quel luogo rappresenta la resistenza dei curdi che stanno scrivendo la storia, anzi, si potrebbe dire che la storia eroica di un futuro stato curdo nella regione è in fase di scrittura. Uno Stato nazionale ha sempre bisogno di vicende del genere”, aggiunge Deniz Arıboğan, docente di Scienze politiche che è considerato particolarmente familiare con la questione curda in Turchia. “La dichiarazione del ministro degli esteri americano John Kerry, che ha parlato di “eroi che difendono Kobane” non può essere presa alla leggera, dal momento che potrebbe avere un grande valore per gli sviluppi futuri”, aggiunge.

Ankara ha capito che le quattro settimane di resistenza curda a Kobane contro le potenti armate dello Stato islamico hanno provocato l’ammirazione dell’Occidente, così come quella di tutti i curdi di Mesopotamia. Mentre nei primi giorni dell’assedio della città da parte del jihadisti tutti pensavano che fosse una questione di ore prima che la città cadesse, i curdi del PYD (un ramo del PKK) hanno continuato a tenere la città e respingere gli attacchi. Nessun curdo ha dimenticato la dichiarazione di Erdogan del 5 ottobre: “Kobani cadrà in poche ore”.

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Ma quel che ha davvero causato panico in Turchia, è stata l’iniziativa degli Stati Uniti di lanciare contenitori di munizioni e cibo per Kobane da aerei decollati dal Nord dell’Iraq. Questo rappresenta uno scenario da incubo per Ankara, posto che Erdogan aveva messo in chiaro che “il PYD e PKK sono organizzazioni terroristiche e non li dobbiami aiutare, né possiamo permettere a chiunque di farlo”.
Washington, con i bombardamenti aerei e dli aiuti ha alimentazione ha scelto chiaramente di sostenere la PYD chiarendo che “i curdi sono quelli che combattono con lo Stato islamico e non li può lasciare da soli ed il PYD non è incluso nella lista delle organizzazioni terroristiche”.

Negli ultimi 24 ore il primo ministro Ahmet Davutoglu ha avuto incontri successivi con ministri e funzionari per discutere gli sviluppi della situazione, dal momento che gli analisti politici riferivano che si era creata “una situazione complessa” che può essere riassunta in uesti termini: oggi la Turchia vede i curdi del nord dell’Iraq che alla frontiera hanno un proprio esercito e sono supportati dagli Stati Uniti, mentre anche i curdi di Siria ricevono munizioni e hanno il chiaro sostegno di Wasghinton.

Adesso dunque i curdi non vogliono solo il sostegno dei loro compatrioti in Siria, ma domandano i diritti promessi loro dl Recep Tayyip Erdogan, quando il PKK aveva dichiarato un cessate il fuoco. Il governo turco a sua volta paventa un’autonomia «de facto» dei curdi nella regione sud-orientale del Paese.

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Ecco dunque che, dopo mesi di scontro aperto, adesso i segnali distensivi si infittiscono. Il ministro degli Interni, Efkan Ala, annuncia che “c’è la possibilità di migliorare le condizioni di detenzione di Abdullah Ocalan”e già si sentono circolare voci che parlano di una sua liberazione dall’isola di Imrali, dove in carcere dal 1999, per avviare un periodo di detenzione domiciliare in Turchia. Il prossimo obiettivo di Ocalan è considerata la ripresa dell’attività politica.

Il governo turco ritiene che l’unica arma a sua disposizione per calmare gli spiriti dei curdi e prevenire eventuali rivolte future sia rappresentata proprio da Ocalan, che controlla gran parte del PKK. Se le condizioni della sua detenzione sono migliorate e alcuni diritti sono stati riconosciuti ai curdi, come l’autonomia amministrativa ai comuni, l’ immunità ai guerriglieri del PKK, eccetera, la situazione potrebbe normalizzarsi nei territori del Sud-est.
“Il governo discute con Ocalan sulla questione curda, come in passato aveva tentato di aprire un dialogo con le formazioni guerrigliere del Monte Qandil (nord Iraq) ricordando i colloqui di Oslo, ma tutti questi sforzi erano falliti. Con Ocalan tuttavia si é riusciti a raggiungere una tregua e ora, anche se in ritardo, si comincia a registrare qualche sviluppo “, dice Hüseyin Yayman.

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