Balcani, amor di svastica

«Tutto cambia perché nulla cambi, tutti stretti intorno alla svastica, dai Balcani all'Ucraina, da Washington a Bruxelles, da Roma a Parigi...» [Stefania Elena Carnemolla]

Balcani, amor di svastica
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8 Aprile 2014 - 15.11


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di Stefania Elena Carnemolla

Svastiche. Qui, nel sud dell’Europa che s’affaccia sull’Adriatico e dove sotto la cenere della calma apparente ancora s’agitano vecchi rancori, la svastica è il simbolo dell’oppressore. Un oppressore che cambia di volta in volta. Per molti è la Serbia, per altri la Nato.

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Nei Balcani non hanno dimenticato i bombardamenti con i caccia partiti da Aviano e te lo rinfacciano, tu, che sei italiano, ricordandoti che in fondo anche il tuo Mussolini era venuto qua con i suoi soldati. E quando gli ricordi i massacri serbi contro i bosniaci, d’improvviso l’odiata Serbia diventa la madre Serbia, con la svastica simbolo della nazione che protegge i fratelli.

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Nei Balcani non c’è pace. Non c’è pace in questa polveriera di tutti contro tutti, con la storia saccheggiata della verità, ma basta una musica del tempo che fu per vedere serbi, croati, montenegrini abbracciarsi, nostalgici, per odiarsi subito dopo. Musiche che stordiscono, che ubriacano, che accendono il ricordo di patriottismi lontani. Musiche che sanno d’illusione.

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Qui, nei Balcani, è fiorente il commercio delle armi giocattolo, con i bambini educati a pane e proiettili ad avere un nemico. Fra le strade polverose, dove si gioca fra i calcinacci e il fil di ferro dei cantieri, dove si lavora fino a notte fonda senza una luce, imperversano le bande di ragazzini dalla testa rasata, dall’occhio incattivito, dalla voce sgraziata.

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Il ragazzino sale su una cassetta di legno. “Io sono il capo” dice, battendosi il petto con orgoglio, urlando agli altri di non svelare i nomi della banda segnati con lo spray su un basamento di cemento armato. “E la svastica?”. “È la potenza della Serbia, nostra madre”. “Chi ti ha insegnato queste cose?”. “Mio padre”.

Qui, nei Balcani, i russi sono arrivati tempo fa carichi di rubli. Sono loro che comandano. In Montenegro, ad esempio, dove ancora negano i crimini dei serbi, non li amano. Qualche nostalgico ancora resiste, lo si vede dai manifesti funebri con la stella rossa. È in questa terra di odi eterni che Bruxelles sguazza, chiudendo gli occhi davanti alla corruzione dei governi locali.

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L’Europa dei burocrati e la Nato affondano le unghia là dove un tempo la terra era nemica, dove nulla è cambiato, dove gli estremismi sono il segnale che il pericolo ancora esiste. “Gli americani, la Nato hanno sostenuto le bande degli albanesi” ci dice una giovane donna macedone, di Skopje. “E nei Balcani loro adesso appoggeranno quelli che fino a ieri combattevano, perché sono contro i russi che arrivano qua con i rubli”.

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Vivendo nei Balcani si perde il filo della matassa, e davvero non si capisce chi sia contro chi. Di certo c’è che tutti preferiscono chiudere gli occhi, come il governo di Roma, in affari con i corrotti governi locali. Questa parte d’Europa ancora in subbuglio è territorio di caccia.

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Più in là, in Ucraina, dove gli occidentali, Casa Bianca in testa, sostengono i rivoltosi di matrice nazista, la storia si è riavvolta e sembra d’essere tornati ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando i collaborazionisti ucraini, invisi a Mosca, erano gamba e costola della Berlino nazista. I loro nipoti sono quelli che oggi hanno messo a ferro a fuoco Kiev fra gli applausi della Nato, della Casa Bianca, di Bruxelles, del governo italiano.

Tutto cambia perché nulla cambi, tutti stretti intorno alla svastica, dai Balcani all’Ucraina, da Washington a Bruxelles, da Roma a Parigi, tutti stretti, i nemici di un tempo, intorno a un simbolo che sa di sangue e vergogna e oggi luce e conforto degli stolti dei nostri tempi.

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(08 aprile 2014)

Photo © Stefania Elena Carnemolla.

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