La sfida dell'acqua e della vita nella Rift Valley

Viaggio, sguardi e lavoro nella Rift Valley in Etiopia. La defluorizzazione, le priorità legate alla sopravvivenza. geografia di luoghi, uomini e donne. [Sara Datturi]

La sfida dell'acqua e della vita nella Rift Valley
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13 Ottobre 2013 - 19.46


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da Addis Abeba

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Sara Datturi

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Etiopia, un paese da scoprire, affrontare, di cui lasciarsi sorprendere: pieno d’infinite contraddizioni e bellezze. In questo quasi mese di permanenza mi lascio trasportare dalle loro musiche coinvolgenti e ritmiche uguali ma diverse, guardo fuori dai finestrini dei mini bus con cui giro in mezzo a questa metropoli in costruzione e mi perdo a guardare quest’umanità forte e sorridente. Ci sono I bambini con le loro uniformi colorate, belli ed eleganti che inondano le strade impazzite e caotiche, governate da palazzi in costruzione e line di treni in preparazione. Ci sono i bimbi che per strada ad agni angolo chiedono elemosina, ci sono ancora i lucida scarpe dignitosi e capaci, che puliscono migliaia di scarpe ogni giorno. Ci sono i colori delle loro frutta, le loro banane, manghi, avocadi e pomodori di prima scelta che non aspettano altro di essere morsi.

Ci sono cassette di paglia vicino a supermercati di ultimo grido, tanti volkswagen ripieni di minuscole testoline che vengono traportati a scuola ogni giorno, motorini impazziti che sfrecciano accanto a Tojota fuoristrada russi anni ottanta, circondati da strade con un’umanità in cammino. Pecore, capre e mucche che fanno lo slalom in questo miscuglio urbano a metà tra passato e futuro. Etiopia, un paese in “via di Sviluppo”, un’economia aperta dove troppe aziende europee, cinesi e turche vengono a sfruttare la manodopera a basso costo per far profitto e vendere nel nostro occidente malato.

La stagione delle piogge sta finendo, il vento si alza forte in questo cielo azzurro d’autunno, il verde inizia ad assumere la sfumatura giallognola tipico della dry season. I cuori impazziscono, si dimenano e iniziano a rivoltarsi. Passato e presente, la musica dei minareti che si accosta alle litanie delle chiese ortodosse, al ritmo dei soul protestanti, alle campane delle chiese cattoliche… mi perdo nelle distese splendide della Rift Valley dove acqua, terra e cielo diventano una cosa sola.

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Case forti di fango e paglia, I colori della terra rossa, i tipici alberi africani che vedevo nelle pagine di libri di quand’ero piccina. Questa marea umana in movimento, che sorride, vive, si disperde, fa chilometri e chilometri per prendere acqua ogni giorno, lavora i campi, raccoglie e ammassa paglia gialla compatta, ara i campi, vende zucche.

Giovani, anziani, bambini che si intrecciano e si complementano. Bimbe di 5 anni che portano sulle spalle I lori fratellini di 2… bimbi già grandi, responsabili, forti. Aiutano, si fanno carico dei doveri quotidiani. Le priorità sono legate alla sopravvivenza: acqua, pane, raccolto, lavare, portare gli animali al pascolo. L’orologio del “progresso” in cui sono cresciuta si ferma.

Le domande diventano tante, lo sono sempre state. Mi lascio cullare da questa umana esistenza. Mi riempio il cuore per l’opportunità di poter fare quello che mi piace, non è un lavoro, è una scelta di vita. Le interviste che faccio, gli articoli che leggo, I dati che colleziono, I sorrisi di questa gente che mi porto dentro diventano un puzzle di conoscenza per cercare di trovare delle soluzioni ad un bisogno idrico in continuo aumento, ad un problema di fluoro che nel lungo termine provoca effetti devastanti, ad un agricoltura che nonostante le enormi distesi di terra non riesce “abbastanza” per il numero di persone che la abitano.

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Lavoro con sognatori e poeti dell’acqua e della terra, con pittori di vita che hanno provato in prima persona a camminare ogni giorno con venti litri e più di acqua sotto un sole rovente, che hanno visto le mani dei loro padri scoprire il mistero di questa terra e dei suoi prodotti.

Occhi che si incontrano in ogni parte di questo mondo e che ogni volta ritrovo uguali, legati ad filo rosso atavico capace sempre di farmi impazzire e che mi riempie d’amore per questa terra e vita, per questo domina ed homo sapiens folli, testardi e konji (belli in amarico).

Acqua, uà (in amarico), vita… mi lascio cullare e mi apro a questa umanità, imparo nuovi metodi di de-fluoridizzazione dell’acqua, di come si fa a trattarla, scorpro le miriadi di interconnessioni che una sostanza inorganica ha con l’ambiente, I suoi aspetti economici, sociali, sanitari. Lascio ancora una volta che quest’umanità mi insegni e mi sfidi.

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Il sole sta calando, rumori di una città che si prepara alla sera con tutte le sfide che questa porta. Mi sento responsabile e parte di questo sistema interconnesso, sistema mondo. Non dimentichiamoci di quello che ci succede vicino nella vita di ogni giorno, siamo parte di una catena invisibile, migranti e compagni dello stesso destino.

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