Lo Stato di Palestina muove i primi passi

Presentate e approvate in Assemblea Generale le prime cinque bozze di risoluzione. Clinton choc: “Negoziati o Israele interverrà militarmente”.

Lo Stato di Palestina muove i primi passi
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1 Dicembre 2012 - 12.48


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di Emma Mancini

La Palestina non perde tempo e si mette subito al lavoro dallo scranno di Stato osservatore delle Nazioni Unite. Ieri la delegazione palestinese ha presentato in Assemblea Generale cinque bozze di risoluzione, subito approvate tra gli applausi delle delegazioni mondiali, scrosciati quando per la prima volta la presidenza ha dato la parola “allo Stato di Palestina”.

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La prima risoluzione, come spiegato da Riyad Mansour, ambasciatore palestinese all’Onu, chiede all’Assemblea Generale di prendere immediate misure per giungere alla soluzione del conflitto israelo-palestinese, attraverso l’applicazione delle decine di risoluzioni Onu mai concretizzate, il congelamento delle attività coloniali israeliane in Cisgiordania e lo stop alla costruzione del Muro di Separazione. Ben 163 i voti a favore, sei i contrari, cinque le astensioni.

Gerusalemme è stata oggetto della seconda risoluzione (162 sì, 7 no, 6 astensioni) con la quale lo Stato occupato di Palestina ha chiesto di riaffermare che le politiche coloniali israeliane a Gerusalemme Est sono illegali.

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La Palestina si rimbocca le maniche e tenta di far fruttare il voto di giovedì sera: “Non c’è modo per descrivere l’entusiasmo che l’Assemblea Generale ha provocato ieri”, ha commentato Mansour, con in mente le centinaia di migliaia di palestinesi scesi in strada per festeggiare un riconoscimento giunto con un ritardo di 65 anni.

Immediata la reazione del governo Netanyahu, che in due settimane è stato costretto a digerire prima la tregua con Hamas e ora il sì dell’Onu allo Stato di Palestina. Piuttosto prevedibile la ritorsione: il Consiglio dei Ministri ha approvato la costruzione di [url”tremila nuove unità abitative”]http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=42752&typeb=0&Rappresaglia-Israele-3mila-case-per-coloni[/url] alle porte di Gerusalemme, all’interno della cosiddetta zona E1. L’obiettivo è la Grande Gerusalemme, dalla Città Vecchia al Mar Morto, includendo nei confini municipali l’imponente colonia di Ma’ale Adumim.

“Ci stanno provocando”, la giustificazione del premier israeliano. “Stanno unilateralmente creando fatti sul terreno, violando il diritto internazionale”, la risposta palestinese. Ieri Mansour ha apertamente accusato il governo di Tel Aviv di ritorsioni: l’annuncio della prossima e ulteriore espansione del mostro Ma’ale Adumim altro non è che un modo per punire l’iniziativa palestinese: “Se intendono davvero camminare verso la pace, il messaggio che danno è chiaro – ha commentato Mansour – Ancora una volta, la nostra mano è tesa, ma abbiamo bisogno che dall’altra parte lo spirito sia reciproco”.

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Un ritorno ai negoziati, quello proposto da parte palestinese, in risposta alle pressanti richieste statunitensi. Washington, bizzarramente, ritiene la richiesta all’Onu un atto unilaterale dimenticandosi della moltiplicazione delle colonie israeliane in Cisgiordania. E dimenticandosi che a buttare all’aria il tavolo dei negoziati fu Israele, nel settembre 2010, quando si rifiutò di estendere di altri dieci mesi il congelamento del progetto coloniale.

Ieri il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha però minacciato la Palestina di una possibile azione militare israeliana, in una dichiarazione choc: “Senza pace, gli estremisti si rafforzeranno e Israele sarà di nuovo costretto a usare la forza militare. Senza pace, l’inesorabile calcolo demografico costringerà Israele a scegliere se rimanere una democrazia o la patria del popolo ebreo”.

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