Sulla Siria i media raccontano un'altra realtà

Parola di Webster Tarpley, giornalista statunitense che offre un resoconto della crisi interna siriana molto diverso da ciò che si dice.

Sulla Siria i media raccontano un'altra realtà
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3 Dicembre 2011 - 11.41


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di Stefania Limiti

«In Siria sono al lavoro squadroni della morte, composti da libici, ceceni, iracheni, afghani, gente senza scrupoli che semina terrore». La denuncia arriva da uno dei maggiori giornalisti investigativi americani, Webster Tarpley, che si è recentemente recato in Siria con una delegazione di colleghi provenienti da tutto il mondo invitati da un gruppo di religiosi guidati da Agnes Marie de La Croia, del convento di S. Giacomo mutilato, «una specie di moderna Giovanna d’Arco che si batte contro la violenza e la guerra», spiega al telefono Tarpley, ancora provato da un viaggio interessante ma molto inquietante.

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Perché, cosa l’ha colpito?

Eravamo ospiti nella città di Kara, a metà strada tra Damasco e Homs. Ma abbiamo poi potuto girare liberamente nel paese, prendendo atto che la situazione è molto diversa da come la raccontano i mass media internazionali. Mentre l’inglese Bbc, ad esempio, dava la notizia dello ‘scoppio della guerra civile’, che ho sentito con le mie orecchie mentre ero nell’albergo di Damasco, mi sono recato insieme al collega Mark George di Media Libre presso il luogo segnalato come il focolaio, la Tv siriana. In realtà, era stato tirato solo qualche petardo, niente di più. C’erano solo curiosi e nessuna tensione ma intanto la notizia aveva fatto il giro del mondo. Mi ha colpito in particolare la nostra visita in un quartiere di Homs che si chiama Zahara. Qui ci sono stati molti morti ma in realtà gli abitanti di questa zona si lamentano perché non c’è una sufficiente presenza dell’esercito.


Può spiegarci meglio?

Sì, certo. Nell’ospedale di Zahara ci hanno detto che sono terrorizzati dai cecchini, appostati in ogni angolo, gente di varie nazionalità che uccide senza scrupoli. Colpiscono indiscriminatamente e un medico mi ha confidato che in questo momento la più grande preoccupazione per lui, come per chiunque, è quella di trovare il modo di tornare ogni giorno a casa senza farsi uccidere.

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Si è fatto un’idea di chi ci sia dietro queste squadre della morte?

Sicuramente alcuni paesi interessati alla destabilizzazione della Siria, come Arabia Saudita, Emirati, Qatar e la Libia del dopo-Gheddafi. C’è un ruolo diretto nei finanziamenti e dei rifornimenti da paret della famiglia libanese Hariri e il lavoro di un uomo pericolo solo come Abdelhakim Belhaj, che ha guidato la rivolta in Libia. La notizia della sua presenza in Siria è stata data da varie fonti. Si sarebbe portato dietro manovalanza adatta in caso di attacco alla Siria. La figura di Belhaj spiega le dinamiche che hanno fatto nascere e alimentano il caos.

Si profila uno scenario come quello libico?

Il tentativo è chiaro. Io sono stato in Libia dopo il criminale attacco militare (della Nato, ndr), nelle settimane precedenti la caduta di Gheddafi e la situazione era ben diversa. C’era in atto una guerra civile, cosa di cui non c’è traccia in Siria. Inoltre, a complicare i piani di questi strateghi anglo-americani impazziti c’è la presenza della flotta russa a largo della Siria. Se ne parla poco ma sono testimone di questo, ci sono un incrociatore, portaerei, tre o quattro sommergibili. La Libia era isolata, la Siria si trova in una condizione diversa. Ma la situazione è gravissima. In definitiva, dopo il mio viaggio posso dire di aver visto un forte attivismo dei greci ortodossi, dei cristiani melchiti e della chiesa siriaca (riunita nella congregazione delle Chiese orientali). Credo che manchi la voce della Chiesa di Roma e che il papa dovrebbe andare in pellegrinaggio a Damasco per contrastare la follia omicida di chi sta pianificando una terribile aggressione militare alla Siria.

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