Tripoli nelle mani delle bande armate

Nel caos della capitale divisa a “Macchia di leopardo” tra lealisti e ribelli, la guerra civile si fa guerra per bande. E Gheddafi fantasma continua a parlare. [Ennio Remondino]

Tripoli nelle mani delle bande armate
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Ennio Remondino Modifica articolo

26 Agosto 2011 - 09.37


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di Ennio Remondino

Niente Blitz ma “buone parole”. Liberati dagli stessi soldati lealisti che li avevano catturati e salvati dalla folla inferocita, i quattro giornalisti italiani narrano ora di una felice conclusione della loro disavventura per scelta di chi li aveva catturati. Atto di “generosità” più figlio di accorti contatti di Servizi segreti che da blitz militare narrato all’inizio e mai avvenuto. Contatti buoni e qualche soldo, probabilmente. Verità finale affidata ai tempi della storia. E “Tripoli Liberata”, più che la trappola sperata per il despota, svela al mondo il disordine che regna all’interno delle forze liberatrici che occupano i quartieri e combattono, a volte tra loro, per il possesso di una parte di territorio e per le prede che esso promette. Dall’esercito di liberazione si torna ai gruppi armati della kabile originarie.

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Intanto Gheddafi parla in televisione.
«La Libia sia dei libici, non della Francia, non dell’Italia, non dei colonialisti», ha detto il Rais in un nuovo messaggio audio trasmesso dalla tv “al Orouba”. Il leader libico ha esortato i connazionali in tutto il Paese a «combattere l’invasione straniera» e ad accorrere a Tripoli, «donne e bambini» compresi, per «affrontare e stroncare gli insorti», e in tal modo «purificare» la capitale. Propaganda e contro propaganda. Gli insorti sostengono di aver circondato un complesso residenziale nella parte centro-sud di Tripoli, non lontano dall’ex roccaforte di Bab al-Aziziyah, all’interno del quale presumono sia nascosto il leader libico Muammar Gheddafi con i suoi figli, scortati da un gruppo di militari a loro fedeli.


Il bis del nascondiglio-buca di Saddam.
I Gheddafi che si ritrovano assieme, come una tradizionale famiglia beduina ad affrontare le avversità e la cattiva sorte. «Loro sono assieme, in una piccola buca», ha detto Muhammad Gomaa, uno degli insorti coinvolti negli scontri. «Sono tutti insieme là dentro – ha detto – la faremo finita. Oggi finiremo il lavoro». Già sentita. In realtà non c’è certezza su dove si trovi Gheddafi. Secondo alcuni infatti potrebbe aver lasciato Tripoli per rifugiarsi nella sua città natale, Sirte. E proprio su Sirte, città ancora nelle mani dei lealisti, i bombardieri della Nato stanno concentrando le loro incursioni. Lo sostiene l’emittente libica “Al-Uruba”. Gheddafi insomma è ancora libero, conserva i suoi strumenti di propaganda e li usa. Per depistare è l’ipotesi più probabile.

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Più interessante guardare a sud.
Anche a Sebha, roccaforte di Muammar Gheddafi, la punta di lancia della sua difesa che penetra nel cuore del deserto, verso il confine col Ciad, si combatte. Dopo che domenica gli insorti sono entrati a Tripoli, in molti hanno sospettato che Gheddafi sarebbe fuggito proprio a Sebha. Una ipotesi, un piani di fuga già raccontato da Globalist. Una Tripoli sacrificata al massacro delle bande contrapposte per concentrare attenzioni e titoli giornalistici e distrarre attenzioni militari. Dal trionfo di domenica allo sconforti e alle paure dell’oggi, in una città simbolo che sembra diventata oggi il vero ostaggio nelle mani di Gheddafi. Contrappunto e sottolineature a questi sospetti, il ritrovamento di gruppi militari, presumibilmente fedeli al Rais, che vengono trovati giustiziati per le strade della capitale-caos.


Truppe speciali a difesa dei pozzi.
Ormai è noto e pubblicamente ammesso. Il ministro della Difesa britannico Liam Fox non ha voluto commentare, ma neppure smentire, un articolo del “Daily Telegraph” secondo cui forze speciali britanniche sarebbero in territorio libico. Anche la “France Press”parla di presenza di francesi e britannici in abiti civili al fianco dei ribelli libici. La liberazione rapida ed accorta dei quattro giornalisti italiani catturati ci porta ad immaginare di altre presenze “Civili” occidentali. Gli stranieri, lo scrive il Corriere, sarebbero accampati in una raffineria a Zuwaytinah, centro di comando dei ribelli per il fronte orientale, a circa 150 chilometri a sud-ovest di Bengasi. Prima di tutto difendere ciò che concretamente vale, oltre alla indeterminate speranze e promesse di futura democrazia.

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