Armi alla Libia, confermato lo scoop di Globalist

Il governo mette il segreto di Stato alla magistratura che indaga sulla scomparsa di un carico di armi dalla Sardegna. [Ennio Remondino]

Armi alla Libia, confermato lo scoop di Globalist
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Ennio Remondino Modifica articolo

19 Luglio 2011 - 15.19


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L’inchiesta della magistratura sarda sul mistero dei missili e delle armi scomparse dalla Maddalena su cui il governo ha apposto il segreto di Stato, rappresenta la conferma dello scoop di Globalist sulle spedizioni di materiale bellico che il governo italiano ha fatto ai ribelli libici fin da inizio marzo.
Infatti la scomparsa di quel materiale riguarda proprio la Libia e non altro.
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Oggi siamo in grado di rivelare il retroscena politico che ha portato a questa operazione: nell’ultima parte del mese di febbraio, quando la posizione del governo Berlusconi (in questo appoggiato dalla Lega) di continuare ad appoggiare Gheddafi era diventata insostenibile, il ministro Frattini e il sottosegretario Gianni Letta, sono riusciti a organizzare una operazione congiunta con l’ambasciatore libico a Roma, il potentissimo Abdulhafed Gaddur, che nel frattempo aveva annunciato di aver abbandonato Gheddafi per schierarsi con gli insorti.

Gaddur si è fatto garante di un accordo con Mustafa Abdel Jalil, ex ministro della giustizia di Gheddafi diventato presidente del Consiglio Nazionale di Transizione libico.

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Il “prezzo” da pagare per dimostrare il vero cambio di campo da parte del governo Berlusconi erano diversi aiuti. Tra cui una sostanziosa fornitura di armi di cui gli insorti avevano grandi necessità.

Nel “pacchetto” ci sarebbero state anche garanzie personali ed economiche a favore di alcuni alti papaveri degli insorti. Ma di questo, semmai, se ne parlerà un’altra volta.

Fatto sta che a inizio marzo un primo carico di armi è arivato a Bengasi con la nave Libra della Marina Militare. Ma le consegne sono state diverse. Su una di queste è stata aperta l’inchiesta della magistratura che ha consentito di confermare quello che già era stato scritto.

di Ennio Remondino

Lo “Scoop” a scoppio ritardato. La solita scoperta che l’acqua calda brucia e l’effetto diventa titolo sui giornali dell’ovvio. Gli “aiuti” italiani ai ribelli libici di Bengasi, nuovi amici da conquistare agli interessi nazionali e petroliferi italiani, erano anche armi. Soprattutto armi. Dovevamo mandare forse latte liofilizzato e pannolini per neonati? Neanche le imbarazzanti piroette politico-dialettiche del ministro degli esteri Franco Frattini erano arrivate a tanto. Prima la difesa fuori tempo massimo di Gheddafi, poi la rincorsa a cancellare le tracce delle imbarazzanti ruffianate e mettere a frutto, con i probabili futuri nuovi padroni della Libia, il nostro capitale di rapporti interni, certamente privilegiato. Vuoi sul fronte diplomatico, vuoi imprenditoriale, vuoi di “intelligence”, che poi traduci in spie. Per non lasciare campo a francesi ed inglesi, che [url”la democrazia in Libia”]http://www.globalist.it/4DCGI/Detail_News_Display?ID=1124&session=WMIOFHNKQS[/url] la pesano a barili di petrolio.

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Quando il Segreto è legittimo? Né potevamo pretendere che lo stesso ex magistrato Frattini venisse a raccontarci che, per fornire quelle armi sottobanco a dei “ribelli”, si doveva “forzare” qualche legge. Quelle che valgono per i comuni mortali. Salvo eccezioni, nell’interesse dello Stato, da tutelare appunto col “Segreto di Stato”. [url”Globalist aveva lanciato il sasso”]http://www.globalist.it/4DCGI/Detail_News_Display?ID=1016&session=WMIOFHNKQS[/url], volutamente ignorato da alcune agenzie di stampa nostrane su “consiglio” della [url”Farnesina”]http://www.globalist.it/4DCGI/Detail_News_Display?ID=1332&session=WMIOFHNKQS[/url]. Armi che ufficialmente non esistevano in Italia e che quindi potevano tranquillamente viaggiare e cambiare destinatario e utilizzo. Noi sapevamo, con dettagli, del vecchio arsenale ex Gladio uscito da Capo Marrargiu e sbarcato a Bengasi. Oggi, grazie all’intervento di una Procura della Repubblica, veniamo a sapere di un’altra spedizione della stessa partita. Altro materiale non inventariato, quindi “inesistente” e spendibile.

Due spedizioni e il resto. Sempre dalla Sardegna, questa volta i sotterranei dell’ex base navale Usa della Maddalena. Merce militarmente più pregiata per i “consumatori finali”, come direbbe Ghedini. Armamento ex URSS finito nelle guerre balcaniche e sequestrato dalla Nato nel 1994. Un cargo fermato al largo di Otranto mentre navigava verso la Croazia. L’armamento, un bel po’ di arnesi destinati alla “reconquista” delle krajne serbe, finisce in “custodia” dentro un magazzino delle forze armate italiane. Non inventariato ufficialmente, esattamente come le armi più obsolete e di marca occidentale dei vecchi “Nasco” della Stay Behind italiana. Il meglio per i combattenti libici che il servizio militare lo hanno fatto usando gli AK-47, gli ormai inflazionati Kalashnikov, e non certo le bifilari Beretta ormai adottate come arma di ordinanza persino dagli ex Cow Boy della Colt.

Segreto buono, segreto sporco. Due spedizioni clandestine d’armi verso la Libia, quelle svelate sino ad oggi. Una non nega l’altra ma, anzi, la conferma. Con due dettagli da sottolineare. Il primo riguarda il modello informativo italiano: non quello di Aisi o Aise, ma quello dei giornali. Certe notizie, se non obbligate da evidenze ufficiali, non trovano l’attenzione e l’impegno di verifica per la diffusione “alta”. Salvo chiedere alla Farnesina se è vero che Frattini ha detto una bugia e gli “aiuti umanitari italiani” ai ribelli libici prevedevano qualcosa in più di alimenti e medicinali. Come chiedere a Riina se esiste la mafia. Due: la stessa magistratura ordinaria insegue oggi le armi ex balcaniche per un eventuale trasporto occulto su navi “civili”, con rischio per i passeggeri. Più o meno come valutare la punizione per guida senza patente all’autore di una strage.

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“Deviato” sarà Lei! Per essere seri e realisti occorre innanzitutto prendere atto che esiste il “Segreto di Stato” garantito ad operazioni di intelligence legate alla sicurezza: attive, passive, preventive. Poi uno può porsi il problema se quelle operazioni erano realmente nell’interesse della Stato, se l’input era istituzionale, corretto, preveggente o sbagliato. Responsabilità politiche, insomma. Sempre. Dove, a grattare sino in fondo, rischi di scoprire che una intera generazione di giornalismo pistaiolo, a caccia dei rami “deviati dei Servizi”, ha sbagliato semplicemente albero. Sempre e soltanto quello dell’indirizzo politico, salvo non lievi intromissioni di “suggeritori politici” ufficialmente non autorizzati. Ufficialmente, ripeto, e non certo per fare un favore ai “Fratelli” delle varie “P” diversamente numerate che lo Stato avevano infiltrato. Semplice presa d’atto, analisi senza moralismi di una realtà planetaria diffusa. La politica, sempre, soltanto e soprattutto. Se poi la politica non è mirata all’interesse collettivo ma di una parte, non è colpa né del cronista né dello “spedizioniere” di armi verso la Libia.

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