Arriva la nomina del nuovo arcivescovo di New York e papa Prevost, per alcuni commentatori che così lo hanno definito in passato, non è più il papa americano. No, per lui gli Stati Uniti adesso sarebbero un Paese qualsiasi, e la nomina del nuovo arcivescovo di New York equivarrebbe al trasferimento di un minutante della Segreteria di Stato da una sezione a un’altra. Curioso.
Il vecchio arcivescovo di New York, il potentissimo cardinale Timothy Dolan, in base alla prassi della Santa Sede poteva ben sperare di restare in sella per un altro anno. Infatti è vero che da mesi ha presentato le sue dimissioni dall’incarico per sopraggiunti limiti d’età, come devono fare tutti i vescovi al compimento del 75esimo anno, ma siccome la prassi consente al papa di lasciarlo al suo posto per altri due anni, non era da escludersi che per un annetto ancora restasse lì, con compiacimento dell’esecutivo statunitense al quale ha sempre guardato con attenzione, interesse, diciamo anche simpatia. E invece il papa americano, che all’improvviso per molti americano non è più, lo ha sostituito.
E con chi? Con Robert Hicks, attuale vescovo di Joiliet, nell’Illinois, cresciuto nella diocesi di Chicago, non proprio la più solidale con l’attuale corso presidenziale visto ciò che accade a Chicago con le deportazioni, e un’importante percorso nell’opera caritativa Nuestros Pequenos Hermanos in Messico e nel Salvador. Dunque la Chiesa americana del papa americano non prende forma nell’opposizione alle derive suprematiste?
A chi ha sostenuto che il cardinale Thimoty Dolan sia stato il grande elettore di Leone XIV l’attualità non dice che i fatti non sembrano confermare la sua tesi? E chi sostiene che occorre guardare il bilancino delle nomine per dire che papa Prevost non fa nomine di parte come Francesco, non dimostra che Francesco è stato e resta l’unico metro di calcolo per tutta la Chiesa? Francesco si può apprezzare o denigrare, ma non ignorare, questo è impossibile anche ai più strenui avversari.
Ma Leone XIV non fa solo nomine, è di queste ore, oltre a questo atto che ha trasformato il volto della Chiesa americana, anche un potentissimo discorso sulla pace, il suo primo messaggio in vista della Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il Primo gennaio 2026.
E cosa dice papa Leone XIV sulla pace? Primo chiarissimo punto da indicare: « nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale. Per di più, oggi alle nuove sfide pare si voglia rispondere, oltre che con l’enorme sforzo economico per il riarmo, con un riallineamento delle politiche educative: invece di una cultura della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di vittime, si promuovono campagne di comunicazione e programmi educativi, in scuole e università, così come nei media, che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza». Oltre alle spese, un’educazione armata.
Quindi arriva il secondo punto: « Tuttavia, “chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace”. Così Sant’Agostino raccomandava di non distruggere i ponti e di non insistere col registro del rimprovero, preferendo la via dell’ascolto e, per quanto possibile, dell’incontro con le ragioni altrui. Sessant’anni fa, il Concilio Vaticano II si concludeva nella consapevolezza di un urgente dialogo fra Chiesa e mondo contemporaneo. In particolare, la Costituzione Gaudium et Spes portava l’attenzione sull’evoluzione della pratica bellica: “Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari, a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti all’umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità”.»
Non poco, ma ancora non abbastanza, visto che il terzo punto va dritto al cuore dell’oggi bellico: « constatiamo come l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati. Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, a motivo del crescente “delegare” alle macchine decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane. È una spirale distruttiva, senza precedenti, dell’umanesimo giuridico e filosofico su cui poggia e da cui è custodita qualsiasi civiltà. Occorre denunciare le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno sospingendo gli Stati in questa direzione; ma ciò non basta, se contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del pensiero critico. L’Enciclica Fratelli tutti presenta San Francesco d’Assisi come esempio di un tale risveglio: “In quel mondo pieno di torri di guardia e di mura difensive, le città vivevano guerre sanguinose tra famiglie potenti, mentre crescevano le zone miserabili delle periferie escluse. Là Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti”. È una storia che vuole continuare in noi, e che richiede di unire gli sforzi per contribuire a vicenda a una pace disarmante, una pace che nasce dall’apertura e dall’umiltà evangelica».
Questa illuminante citazione di papa Francesco ci conduce al quarto punto, l’altrettanto illuminante citazione di Giovanni XXIII: «Occorre riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità».
Ma questi punti non completano un discorso potente se non si legge il quinto punto, quello che ritengo decisivo e che deriva da quello appena citato: “ È questo un servizio fondamentale che le religioni devono rendere all’umanità sofferente, vigilando sul crescente tentativo di trasformare in armi persino i pensieri e le parole. Le grandi tradizioni spirituali, così come il retto uso della ragione, ci fanno andare oltre i legami di sangue o etnici, oltre quelle fratellanze che riconoscono solo chi è simile e respingono chi è diverso. Oggi vediamo come questo non sia scontato. Purtroppo, fa sempre più parte del panorama contemporaneo trascinare le parole della fede nel combattimento politico, benedire il nazionalismo e giustificare religiosamente la violenza e la lotta armata».
Forse è questo passaggio che spiega meglio di molto altro, come di improbabili letture con il bilancino curiale, il senso della nomina del nuovo arcivescovo di New York.
