Hummes il cardinale che lottava contro la povertà, architetto del Sinodo sull’Amazzonia

Claudio Hummes, malato da tempo, ha avuto il tempo di essere l’architetto di uno dei più grandi eventi ecclesiali del tempo recente, il sinodo sull’Amazzonia.

Hummes il cardinale che lottava contro la povertà, architetto del Sinodo  sull’Amazzonia
Bergoglio e il cardinale Claudio Hummes
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

5 Luglio 2022 - 16.18


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Seduto accanto al cardinale Jorge Mario Bergoglio, un altro porporato segue lo scrutinio del voto appena conclusosi durante il Conclave. Quando il nome di Jorge Mario Bergoglio emerge chiaramente come quello del prossimo vescovo di Roma lui lo guarda e gli dice: “non dimenticarti dei poveri”. Quell’uomo, quel porporato, era Claudio Hummes. Malato da tempo, ha avuto il tempo di essere l’architetto di uno dei più grandi eventi ecclesiali del tempo recente, il sinodo sull’Amazzonia. Un evento che fuori dalla Chiesa non è stato abbastanza compreso. Dentro invece è stato compreso bene e infatti ha avuto l’effetto di moltiplicatore degli strappi curiali rispetto a Francesco. 

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Dei tanti modi per ricordare questo grande esponente della Chiesa latino-americana e innovatore della Chiesa universale scelgo questo perché un profilo di Claudio Hummes lo faranno in tanti, ma per capirne la portata e il valore nell’oggi e per l’oggi a mio avviso occorre capire cosa accadde in quei giorni per la Chiesa e nella Chiesa. 

Da molto tempo i popoli indigeni dell’Amazzonia erano all’attenzione non solo della Chiesa latino-americana, ma anche di molti missionari, volontari, attivisti cattolici. La consapevolezza del grande tesoro messo a rischio dalla colonizzazione depredatrice c’era. Ma i popoli? Verso di loro prevaleva un atteggiamento “indigenista”: curarli, magari raggiungerli, metterli al centro di una nostra attenzione verso di loro. E così, magari, anche, convertirli. Per Hummes questo non risolveva il vero problema. E in una lunga intervista concessa a La Civiltà Cattolica alla vigilia del sinodo spiegò cosa si sarebbe dovuto fare: “ Dio è sempre stato presente anche nei popoli indigeni originari, nelle loro specifiche forme ed espressioni e nella loro storia. Essi già posseggono una propria esperienza di Dio, così come altri antichi popoli del mondo, in particolare quelli dell’Antico Testamento. Tutti hanno avuto una storia in cui c’era Dio, una bella esperienza della divinità, della trascendenza e di una conseguente spiritualità.

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Noi cristiani crediamo che Gesù Cristo sia la vera salvezza e la rivelazione definitiva che deve illuminare tutti gli uomini. L’evangelizzazione dei popoli indigeni deve mirare a suscitare una Chiesa indigena per le comunità indigene: nella misura in cui accolgono Gesù Cristo, esse devono poter esprimere quella loro fede tramite la loro cultura, identità, storia e spiritualità”. Dunque “inculturazione” non vuol dire portare gli altri nella nostra cultura, nel modo occidentale di intendere la fede, ma poter esprimere questa fede nella propria cultura, identità, storia e spiritualità. Chi ricorda lo scandaloso alterco tra Francesco e un cardinale in quei giorni tenendo presente questo può capirne meglio il valore. Francesco indossò un copricapo di piume, offertogli da esponenti dei popoli indigeni riuniti in Vaticano. Si obiettò che il papa aveva ricevuto degli uomini pennuti. Lui, Francesco rispose, che ci sono diverse tradizioni, il copricapo con le piume d’uccello non vale meno del tricorno, l’abituale copricapo a tre punte dell’abito formale dei cardinali. E’ la famosa berretta cardinalizia.

Ecco che cos’è il pluralismo nella Chiesa, vera alternativa a un centralismo uniformante, come nella globalizzazione reale, quella che cancella la differenza tra i popoli, pensando di poterci vestire tutto nello stesso modo, alimentare nello stesso modo, farci pensare nello stesso modo. 

In quell’intervista però il cardinale Claudio Hummes disse una cosa ancor più importante e derivata da questa idea di pluralismo. Riguarda l’unica ideologia rimasta al mondo, apparentemente indiscutibile: il liberismo. Strana idea di libertà quella di un liberismo che non vuole altro da sé. E cosa disse Claudio Hummes Ecco qui: “L’ecologia integrale è una realtà meravigliosamente nuova che il Papa ci ha messo davanti. Interpella a fondo gli attuali modelli di sviluppo e di produzione che, a loro volta, fanno appello alle luci razionali, scientifiche e tecnologiche dell’epoca moderna, in cui affonda il paradigma tecnocratico e che non sono disposte ad accogliere le conseguenze di un’ecologia integrale. Il paradigma tecnocratico e di dominazione vince, si impone e fa quel che gli pare.

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Questo schema, o questo paradigma tecnocratico, viene in effetti dalla modernità. È il risultato della cosiddetta «rivoluzione copernicana» della filosofia moderna: l’oggetto non è più quello che viene pensato e analizzato, come era nella filosofia classica, ma piuttosto il soggetto pensante, la soggettività. È stato un notevole passo in avanti: di fatto, la grande ricchezza della modernità. Ma i molti interessi in gioco hanno trasformato questa conquista in qualcosa di diverso. L’hanno mutata in soggettivismo, in individualismo e poi in liberalismo, che, oltre alla rivoluzione copernicana della filosofia, ha potuto avvalersi della nascita della scienza esatta moderna e della sua applicazione alla tecnica. Ne è derivato un enorme progresso tecnologico, sempre più sofisticato, che ha messo nelle mani dell’uomo uno straordinario potere di intervento sulla natura. Lo ha reso capace di produrre sempre più beni, a qualsiasi costo, a scapito sia della natura stessa sia delle persone o delle comunità umane”. 

Sì, c’è un’illusione che emerge da queste parole che va al di là di quanto dicono espressamente. Questa illusione è l’aver capito che siamo tutti uguali, ci sono delle leggi universali che valgono per l’uomo come per la natura. Come vale universalmente la legge di gravità così devono valere universalmente anche le scienze umane. Basta pensarci bene e ci renderemo conto che la strada che conduce alla felicità è una sola. E invece non è così. Il più grande contributo che Hummes ha dato al pensiero liberale è questo. Aiutarlo a uscire dalla sua deriva centralista, assolutista, totalitaria. E questo si può capire bene se pensiamo al precedente sforzo, aiutare la Chiesa a liberarsi del suo centralismo uniformante. Quello che ora continua a fare l’amico del cardinale Hummes, Jorge Mario Bergoglio. 

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