"Dignitas Infinita": la solita solfa addobbata a festa

Tempi duri per il clero che deve confrontarsi con i nuovi temi del ventunesimo secolo. Se però lo fa con i modi e i mezzi di sempre, la debacle è assicurata. Ecco cosa penso del nuovo documento partorito dal Dicastero per la Dottrina della Fede.

"Dignitas Infinita": la solita solfa addobbata a festa
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Agostino Forgione Modifica articolo

17 Aprile 2024 - 15.35 Culture


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Quando ne ho sentito parlare il mio primo desiderio è stato di leggerlo. Le nuove aperture della Chiesa, in particolare di Papa Francesco, mi hanno fatto presupporre che potesse trattarsi di uno spartiacque. Lo dico a priori: non è stato così. Parlo ovviamente di “Dignitas Infinita”, il documento partorito dal Dicastero per la Dottrina della Fede che, sulla scia dell’Enciclica “Fratelli tutti”, si pone l’obiettivo di delineare quali siano le principali minacce alla dignità umana. Obiettivo nobile, peccato che buona parte della disquisizione si basi su un esercizio di tautologia. È così perché è così, in sunto.  

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Capiamoci bene, gli spunti condivisibili ci sono e sono pure numerosi, così come esistono conferme sulle aperture più recenti della Chiesa. La principale riguarda il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, considerato da qualche tempo come un “antropocentrismo situato”. In altre parole, l’uomo non è più libero e indiscusso dispositore della natura secondo la sua volontà, bensì un suo consapevole “amministratore”.

Tralasciando ciò, tutti coloro che si aspettavano ulteriori passi in avanti su temi come diritti civili, maternità surrogata e affini sono rimasti a bocca asciutta. Un po’ come se la Chiesa, dovendo barcamenarsi in un delicato esercizio di equilibrio tra concedere qualcosa sia ai più “conservatori” che ai sempre più distaccati laici, abbia pagato ben poco ai secondi. Ma andiamo in ordine.  Il documento si compone di 66 punti organizzati in varie sezioni, di cui la più importante è probabilmente la quarta, quella sulle forme di violazione della dignità umana. Dignità che può essere declinata in una quadruplice accezione: c’è la dignità ontologica, la più importante, che riguarda la persona in sé intesa come essere creato e amato da Dio; quella morale, che tocca il libero arbitrio; quella sociale, relativa le condizioni di vita in cui viviamo e quella esistenziale.

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Non c’è nessun dietrofront da parte della Chiesa: la dignità umana, in quanto dono divino, è al di là “di ogni circostanza” e non può essere assolutamente declinata soggettivamente . È invece fondata “sulle esigenze costitutive della natura umana”, esigenze che sovrastano la volontà del singolo. .Evidentemente alla Chiesa l’individualismo, finanche nel rispetto della libertà altrui, proprio non piace. Citando il documento “La libertà è frequentemente oscurata da tanti condizionamenti psicologici, storici, sociali, educativi, culturali. La libertà reale e storica ha sempre bisogno di essere “liberata”. E si dovrà, altresì, ribadire il fondamentale diritto alla libertà religiosa”. Condizionamenti, ovviamente, da cui unica esente è la Chiesa, esclusiva garante dei giusti precetti.  

Il cuore del testo, come già sottolineato, è però rappresentato dalla quarta sezione, l’ultima. Vengono elencate una serie di “violazioni” che sarebbero in contrasto con la limitata disposizione che l’uomo ha nei suoi stessi riguardi. Si va dal no all’aborto, la cui accettazione è sintomatica, per i prelati, della crisi morale che viviamo, a quello verso la maternità surrogata e l’eutanasia. La sofferenza cronica di qualcuno può diventare, infatti “Occasione per rinsaldare i vincoli di una mutua appartenenza e per prendere maggiore coscienza della preziosità di ogni persona per l’umanità intera”. Bisogna soffrire per gli altri, guai a rifiutarsi.

Le storture più palesi si rintracciano quando viene toccata la teoria gender. La prospettiva che ne emerge è un po’ quella dello zio avvinazzato che, durante i pranzi di famiglia, proprio non riesce a trattenersi dal commentare fatti che conosce solo grazie ai titoli dei giornali. La disquisizione parte riaffermando nuovamente che “Voler disporre di sé, così come prescrive la teoria del Gender […]  non significa altro che cedere all’antichissima tentazione dell’essere umano che si fa Dio ed entrare in concorrenza con il vero Dio dell’amore rivelatoci dal Vangelo”. Nelle righe è evidente come la Chiesa ancora non abbia capito quale sia la differenza tra sesso e genere, mistificando e confondendo le due cose con una superficialità che ha del grottesco. “Tale ideologia «prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia»” viene scritto e “Sono, dunque, da respingere tutti quei tentativi che oscurano il riferimento all’ineliminabile differenza sessuale fra uomo e donna”. Qualcuno dovrebbe assumersi l’onere di spiegare ai chierici che assolutamente nessuno vuole eliminare le differenze tra i due sessi: essendo di natura strettamente biologica, farlo contrarierebbe i più basilari fondamenti scientifici. Nessuno, ancora, ha mai detto che gli uomini siano fisicamente uguali alle donne, il punto non è mai stato questo. Il genere, di cui la teoria tratta proprio come suggerisce il suo nome, è infatti squisitamente legato alla sfera sociale, culturale e psicologica. Esame malamente bocciato per gli autori del documento, che non hanno neppure avuto la lucidità (e probabilmente la modestia) di capire di cosa stessero parlando.  

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Cambio di sesso? Vade retro, ovviamente. Siamo “Chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto rispettarla e accettarla così come è stata creata” (pt. 60). È proprio su quest’ultima frase che si è soffermata la mia attenzione. Cosa significa rispettare la nostra natura “così com’è stata creata”? Di fatto, è da millenni che non lo facciamo. Basta leggere gli scritti di Foucault sulle tecnologie del sé per capire come, da sempre, modifichiamo la nostra corporeità ricorrendo a innumerevoli pratiche. La modifichiamo impiantandoci protesi per camminare meglio, pacemaker o apparecchi odontoiatrici, tanto per fare qualche sparuto esempio. Anche rimuovere una metastasi, in senso proprio, significa non accettarci così come siamo stati creati. Se la Chiesa avalla tutto ciò, non si vede perché non dovrebbe fare altrettanto per il cambio di sesso.

In conclusione, dunque, “Dignitas Infinita” non rappresenta null’altro che un ulteriore goffo tentativo di mantenere le redini su una società di giorno in giorno più distaccata e indifferente ai precetti cattolici.

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