Disturbi del comportamento alimentare: una pandemia dentro la pandemia

Nell’ultimo anno sono aumentati del 30% i disturbi alimentari e si è abbassata l’età media nell'insorgenza della malattia. I servizi sanitari sono intasati e ancora sono carenti le strutture specializzate

Disturbi del comportamento alimentare: una pandemia dentro la pandemia
Dieta e disturbi alimentari
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22 Novembre 2021 - 20.26


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di Vittoria Maggini

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Questi ultimi due anni sono stati così pesanti che sembra ne siano passati più di dieci. Le ripercussioni della pandemia sono molte e ci vorranno anni perché siano arginate. Se da un lato cresce il numero dei “nuovi poveri” dall’altro l’isolamento dovuto, la paura per il futuro e la crisi economica, sono diventati terreno fertile sul quale ha attecchito un’altra pandemia, silenziosa ma non meno pericolosa. Si tratta della recente impennata di Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA).

Secondo una survey condotta dal Ministero della Salute, nel periodo che va da febbraio 2020 a febbraio 2021 l’incremento medio dei casi di disturbi alimentari è del 30%, rispetto allo stesso periodo 2019-2020, con un abbassamento dell’età media di esordio delle patologie ed un aumento delle diagnosi. Si stima che le persone che attualmente soffrono di DCA in Italia siano circa 3 milioni, di cui 2,3 milioni sono adolescenti. Inoltre, rispetto allo scorso anno, sono triplicate le chiamate al Numero Verde nazionale della Presidenza del Consiglio, SOS Dca, che fornisce indicazioni per tutto il territorio nazionale e counseling psicologici, che affianca il sistema sanitario pubblico, il quale non riesce a soddisfare tutte le domande d’aiuto.

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La dottoressa Elena Bozzola, Segretaria Nazionale della Società Italiana di Pediatria, ha richiarato all’HuffPost che “Le patologie di questo tipo emergono in prevalenza tra i 12 e i 25 anni, ma ultimamente l’età di insorgenza dell’anoressia nervosa si sta abbassando: circa il 20% delle nuove diagnosi riguarda la fascia 8-14 anni. Se è vero che oltre il 95% di chi soffre di questi disturbi è di sesso femminile, il fenomeno dell’anoressia nervosa non esclude di certo i ragazzi. Soprattutto nell’ultimo periodo”.

Valeria Zanna, responsabile della struttura di Anoressia e DCA al Bambino Gesù di Roma, ha raccontato che, sebbene l’esplosione di richieste di aiuto sia aumentato nella tarda primavera del 2020, è con il 2021  che i numeri hanno assunto contorni impressionanti: «Nel primo trimestre 2021 sono cresciute del 52% rispetto allo stesso periodo del 2020 mentre nel secondo trimestre hanno superato il 110%». Nel reparto di pediatria sono ricoverati anche pazienti di 10, 11, 12 anni. «Alcuni sono in condizioni così critiche da aver bisogno di essere alimentati ed idratati con un sondino». E ha aggiunto: «Molte di queste ragazze e di questi ragazzi erano già allenati a mangiare di nascosto, a vomitare di nascosto, a vivere di nascosto. Il lockdown prima e le restrizioni della socialità hanno funto da detonatore a un malessere che era spesso già presente ma magari tenuto a bada, o in un precario equilibrio».

I disturbi più diffusi sono l’anoressia, la bulimia, il disturbo da alimentazione incontrollata (o binge eating disorder) e l’obesità, ma sono molte altre le sfaccettature dei DCA.  

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Tante richieste di aiuto e poche strutture dedicate

Le patologie DCA non sono incurabili eppure, secondo quanto indicato dal Rencam (Registro Nominativo Cause Morte) nel 2019 – in tempi pre-Covid – quasi 3mila persone sono morte per diagnosi collegate a Disturbi del comportamento alimentare, con un’età media di 35 anni. In pratica, 10 decessi ogni giorno. Una tragedia nota, eppure ignorata.

Il problema? Mancano centri di cura dedicati e le liste di attesa sono sempre più lunghe, non solo per i ricoveri ma anche negli ambulatori dei dipartimenti sanitari. Delle 146 strutture specializzate, molte sono concentrate al Nord. Addirittura, ci sono regioni in cui le reti di assistenza non ci sono proprio, come Sicilia, Campania, Puglia, Sardegna. L’unico centro dedicato presente al Sud è il Centro DCA “G.Gioia” di Chiaromonte.

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In un quadro così debole, se aggiungiamo all’equazione la pandemia, è chiaro che più spesso i pazienti che chiedono una visita o un posto letto ricevano un “non c’è posto” come risposta. Ne conseguono il rallentamento dell’inizio delle terapie e l’aggravarsi dei disturbi, a volte con esiti fatali. Del peggioramento dovuto al Covid si è espresso nei mesi scorsi anche il dottor Riccardo Dalle Grave, responsabile dell’Unità di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda (Verona), che aveva detto all’HuffPost: “Durante la pandemia la situazione è stata complicata anche dal ridotto accesso alle cure, con centri chiusi, meno disponibilità e possibilità di seguire i pazienti in presenza”.

Il portale Vita.it ha riportato le parole di Stefano Tavilla, presidente dell’associazione Mi Nutro di Vita e papà di Giulia, morta a 17 anni per bulimia, il quale ha affermato: «Non sono molte le malattie psichiatriche che vantano un primato di numeri così alto e con una mortalità che li pone al secondo posto, dopo gli incidenti stradali, per i giovani adolescenti, eppure le risposte della politica sono del tutto inadeguate».

La risposta del Governo alla forte richiesta è stato rivedere, nell’ottobre 2020, il documento sul Percorso lilla in pronto soccorso, al fine di “fornire agli operatori sanitari un valido strumento di lavoro per il triage, la valutazione e la presa in cura dei soggetti fragili che presentano disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e che si presentano in PS in condizioni in condizioni di urgenza”.

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Lo scorso 8 ottobre, a Roma, si è tenuta una manifestazione organizzata da 70 associazioni fondate dai genitori dei bambini e dei ragazzi con DCA, i professionisti, i pazienti, per chiedere al governo una cooperazione maggiore e «che ogni struttura pubblica disponga di personale e servizi dedicati, capaci di dare delle risposte tempestive a chi si ammala di DCA, come accade a chi sviluppa un problema cardiologico».

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