L'immunologa Viola: “Ad oggi, tutto continua a essere a favore dell'origine naturale del virus"

L'immunologa dell'università di Padova: "Poiché non siamo stati in grado di trovare in natura lo stesso identico Sars-CoV-2, allora il virus deve essere fuggito dal laboratorio"

L'immunologa Antonella Viola
L'immunologa Antonella Viola
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4 Giugno 2021 - 20.14


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La corrente dietrologia è predominante, ma lei si smarca. 
“Ad oggi, tutto continua a essere a favore dell’origine naturale del virus” responsabile dell’emergenza Covid-19, anche se “questo non significa che non sia necessario continuare a porsi domande e analizzare i fatti”.

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Così Antonella Viola, immunologa dell’università di Padova, si inserisce nel dibattito sulla nascita del coronavirus pandemico, dopo che “in questi giorni – ricorda – stiamo sentendo circolare voci, anche scientificamente accreditate, che si spingono a dichiarare che l’origine del Sars-CoV-2 non è naturale”.
Un dubbio che sembrerebbe sfiorare anche l’immunologo Anthony Fauci, con la sua richiesta alle autorità cinesi di mettere a disposizione le cartelle cliniche di 9 persone che avrebbero mostrato sintomi compatibili con Covid prima che fu data notizia ufficiale dei primi casi di infezione.
“Non è la prima volta che ne sentiamo parlare: già all’inizio della pandemia – sottolinea Viola in post su Facebook – qualcuno aveva sostenuto che il virus fosse stato proprio creato in laboratorio (attraverso un processo di ‘taglia e cuci’), ma l’analisi delle sequenze dell’Rna virale aveva escluso questa manipolazione. Oggi l’ipotesi è leggermente diversa: poiché non siamo stati in grado di trovare in natura (nei pipistrelli o in un eventuale ospite intermedio) lo stesso identico Sars-CoV-2, allora il virus deve essere fuggito dal laboratorio dove lo si stava studiando. L’assenza di una prova (l’ospite intermedio) – evidenzia la scienziata – diventa così paradossalmente la prova per sostenere una ipotesi che non ha prove (il virus scappato dal laboratorio)”.


Ecco allora che, per sostenere questa ipotesi non provata, ci si lancia in analisi sulla ‘strana’ sequenza dell’Rna del Sars-CoV-2. Si dimenticano però una serie di fatti”, analizza Viola. Primo: “La maggior parte (55,4%) dei primi casi di infezione è riconducibile a 3 mercati di Wuhan”. Secondo: “Nei mercati, a dicembre 2019, si sono identificati due ‘tipi’ di virus differenti (lineage A e B ). Mentre questo è facilmente spiegabile con una diversificazione avvenuta indipendentemente in natura, è difficile immaginare che due virus diversi siano sfuggiti al laboratorio”. Terzo: “Molti animali possono essere infettati dal Sars-CoV-2”. Quarto: “I recenti sequenziamenti di coronavirus nel mondo (in particolare in Cambogia
Tailandia e Giappone) identificano sequenze condivise con il Sars-CoV-2 e mostrano chiaramente come l’ipotesi naturale sia la più accreditata”.
Quinto elemento che rimarca l’immunologa: “I lavori che dicono di identificare sequenze simili a quelle umane sono spesso basati su approcci sbagliati e questo lo lascio dire ad un esperto, Marco Gerdol” dell’università di Trieste, che in merito a uno di questi studi “scrive: ‘L’articolo, nella forma in cui è possibile leggerlo, è una accozzaglia di stupidaggini che fa accapponare la pelle. Come prima cosa gli autori hanno utilizzato un approccio basato su Blast, un algoritmo di comunissimo utilizzo in bioinformatica, per confrontare la sequenza della proteina Spike con il proteoma umano basandosi su una finestra mobile di 6 amino acidi, giungendo alla sorprendente conclusione che il 78,4% della sequenze presentasse epitopi ‘human-like’, il che secondo gli autori sarebbe evidenza di manipolazione in quanto ‘ben adattata alla co-esistenza in uomo’”.
“Questa considerazione – commenta lo scienziato citato da Viola – è talmente sciocca che spero che qualsiasi studente del mio corso di bioinformatica della triennale sia in grado di rendersi conto che una finestra di soli 6 amino acidi sia talmente piccola da garantire il ritrovamento di similarità in questo ordine di grandezza per qualsiasi proteina contro il proteoma di qualsiasi altra specie. Gli stessi risultati, ad esempio – chiosa Gerdol – si otterrebbero confrontando la proteina spike di Sars-CoV-2 con il proteoma di una patata, di una balenottera azzurra o di un’aragosta’”.

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