In Italia il primato delle morti per Covid per milione di abitanti: ecco perché si muore di più
Top

In Italia il primato delle morti per Covid per milione di abitanti: ecco perché si muore di più

Ritardo nelle chiusure ed errori sui vaccini: questi alcuni motivi. Dati che impongono più consapevolezza alle scelte future

Ospedale anti-Covid italiano
Ospedale anti-Covid italiano
Preroll

globalist Modifica articolo

8 Aprile 2021 - 16.35


ATF

Triste primato per l’Italia, ancora alle prese con una severa lotta alla pandemia.

Con 43 vittime a settimana per milione di abitanti, l’Italia è il Paese con più decessi per Covid-19 tra i principali Stati dell’Unione europea.

Un primato che è il risultato di errori che vale la pena mettere in fila, per affrontare con maggiore consapevolezza il futuro.

Il nostro bollettino quotidiano continua a essere terribile, con una media di 400 decessi al giorno nell’ultimo mese.

L’Italia è l’unico grande Paese europeo in cui, da febbraio a marzo, malgrado l’arrivo dei vaccini, il numero dei morti è aumentato, passando dai 38 decessi per milione di abitanti a febbraio ai 43 di marzo.

La ragione numero uno è che l’Italia, sui vaccini, “ha fatto altre scelte” rispetto all’unica raccomandazione avanzata già lo scorso ottobre nel primo studio sugli effetti potenziali della vaccinazione: mettere in sicurezza le fasce fragili della popolazione; soltanto dopo, tutti gli altri.

Leggi anche:  Inchiesta mascherine, la Procura chiede 1 anno e 4 mesi di carcere per Domenico Arcuri: le accuse dei Pm

In Italia però le cose sono andate diversamente:

“Alla data del 19 febbraio, gli over 80 che avevano ricevuto almeno una dose erano soltanto il 6 per cento contro il 23% della Francia e il 22% della Germania. A fine marzo, la Germania raggiunge quota 72%, contro il 57% di Italia e Francia. La differenza si è accorciata. Ma il nostro recupero delle ultime settimane non basta a fare crollare la curva dei decessi”.

Un altro aspetto decisivo è quello del ritardo con cui si sono decise le chiusure durante la seconda e terza ondata: una rincorsa al rallentatore. Se a marzo del 2020 fummo i primi a chiudere, a ottobre si è optato per “il sistema a zone quando le cose andavano molto male, con 350 morti al giorno”.

“A Londra avevano già chiuso negozi, palestre e ristoranti da quasi due settimane, dopo aver toccato i 120 morti in 24 ore. E da allora, dopo aver fermato anche le scuole il 6 gennaio, il Regno Unito ha mantenuto restrizioni ferree. La Germania aveva preso misure simili dal 2 novembre, e dal 16 dicembre ha fatto scattare un lockdown ancora più duro. Idem per la Francia, che dal 30 ottobre ha tenuto aperte solo le scuole, fino alla recente resa, aggiungendo un coprifuoco che cominciava alle 18”.

Leggi anche:  Inchiesta mascherine, la Procura chiede 1 anno e 4 mesi di carcere per Domenico Arcuri: le accuse dei Pm

Il risultato di questi ritardo è stata una riduzione limitata della mobilità. “L’Italia, che ha chiuso dopo, ha avuto comunque un picco di spostamenti sotto Natale, con una riduzione della mobilità solo del 20%. Ma soprattutto, ha riaperto. Prima di tutti gli altri”.

Sono riflessioni che impongono più consapevolezza alle scelte future:

“Andando avanti con le attuale restrizioni, e a patto di vaccinare mezzo milione di persone al giorno per ordine di età, è ipotizzabile un ritorno alla normalità entro agosto. L’abbandono progressivo delle misure di contenimento, stimato al 25, 50 e 75 per cento, sposterebbe in avanti questo traguardo di 14, 16 e 17 mesi dall’inizio della campagna vaccinale, avvenuto lo scorso 27 dicembre. E inoltre comporterebbe la perdita di altre 50 mila vite umane nel caso peggiore. Non è questione di essere aperturisti o chiusuristi. Si può fare tutto. Basta essere consapevoli del fatto che c’è sempre un prezzo da pagare”.

Native

Articoli correlati