Lo studio sul Covid: può provocare danni al cuore che durano anche dopo la guarigione

Il virus è capace di attaccare le cellule stromali facendole diventare veicolo di infezione e causando complicazioni cardiache che possono durare a lungo

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6 Aprile 2021 - 13.22


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Un nuovo studio tra i ricercatori dello Spallanzani e del Monzino, coordinati da Maurizio Pesce, Responsabile dell’Unità di Ricerca in Ingegneria Tissutale Cardiovascolare del Monzino, hanno confermato la pericolosità del virus non soltanto a livello polmonare ma anche a livello cardiaco.
Le cellule stromali, uno dei tipi cellulari maggiormente diffusi nel cuore, possono essere attaccate direttamente dal virus, diventando a loro volta veicolo dell’infezione.
La maggiore o minore capacità di replicazione del virus in queste cellule risulta strettamente correlata ai livelli di espressione del recettore cellulare Ace2.
Allo stesso tempo, indipendentemente dai livelli di Ace2, le cellule stromali possono reagire all’invasione del Covid-19 attivando una importante risposta infiammatoria. Questo duplice effetto conseguente all’interazione tra virus e cellule stromali può spiegare la variabilità dei danni cardiaci riscontrati e le complicanze cardiache che si osservano nei casi più gravi di Covid-19. 
“Il Sars-CoV-2 ha manifestato, sin dall’esordio della pandemia, il potere di innescare gravi problematiche a livello cardiaco, come aritmie e scompenso, in alcuni casi persistenti anche dopo la guarigione dal virus” spiega Pesce.
“Per questo ci siamo concentrati sull’interazione fra virus e cuore, con l’obiettivo di incrementare le attuali conoscenze alla base delle manifestazioni cliniche, e di individuare nuove terapie in grado di proteggerlo.
In particolare, ci siamo focalizzati sulle cellule stromali del cuore che sono da tempo e a fondo studiate nei laboratori del Monzino.
La caratteristica principale di queste cellule è di essere protagoniste della risposta infiammatoria alla base della fibrosi e dello scompenso cardiaco, osservati in molti pazienti Covid-19″.
“Abbiamo isolato queste cellule, le abbiamo esposte al nuovo Coronavirus in vitro e le abbiamo analizzate con procedure di proteomica e trascrittomica.
Le nostre osservazioni hanno confermato che effettivamente il virus entra nelle cellule attraverso il recettore Ace2 e che quindi esso può andare incontro a replicazione diffondendosi nel cuore.
In parallelo, abbiamo osservato che le stesse cellule possono anche evolvere verso un destino pro-infiammatorio da cui ne conseguirebbe la deposizione di tessuto fibrotico, osservata in molti pazienti Covid-19.
Abbiamo infine mostrato che il grado di infezione del Sars-CoV-2 dipende dai livelli di espressione del recettore Ace2, vale a dire che più Ace2 è presente, maggiore è l’infezione”.
“Abbiamo indicato il cuore come ulteriore bersaglio diretto del virus che potrebbe necessitare di specifici trattamenti antivirali precoci, sia per impedirne la diffusione, sia per limitare l’espansione del tessuto fibrotico, uno dei maggiori ostacoli alla corretta funzionalità cardiaca” aggiunge la Dottoressa Alessandra Amendola, Dirigente Biologo presso il Laboratorio di Virologia dello Spallanzani che ha collaborato nel progetto Cardio-CoV.
“I nostri risultati – conclude Pesce – supportano l’utilizzo degli anti-infiammatori già utilizzati negli attuali protocolli anti-Covid-19 per minimizzare la risposta infiammatoria a livello cardiaco, e permettono di escludere che vi sia un’interazione tra trattamenti anti-ipertensivi e gravità dell’infezione, almeno a livello del cuore, contrariamente a quanto si era pensato all’inizio della pandemia.
Abbiamo infatti trovato conferma che questi farmaci non impattano sui livelli basali di espressione di Ace2 nelle cellule dei pazienti”.
Lo studio Cardio-Cov ora si svilupperà intorno a due obiettivi: definire nelle cellule stromali il meccanismo molecolare che causa l’espressione di Ace2 per identificare un farmaco in grado di inibire la replicazione virale nel cuore, e analizzare l’evoluzione infiammatoria dello stroma cardiaco per individuare nuovi targets molecolari, a cui mirare per impedirne la progressione”.

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