Covid-19: cosa favorisce l’irresponsabilità di molti

In una democrazia, senza una diffusa assunzione di responsabilità da parte dei cittadini sarebbe difficile raggiungere gli obiettivi perseguiti. Ecco i problemi alla base di tanti menefreghismo

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Vincenzo Sorrentino Modifica articolo

23 Gennaio 2021 - 10.42


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Una delle parole più ricorrenti, durante l’attuale crisi legata alla diffusione del Codid-19, è stata «responsabilità». Da più parti, e in maniera insistente, si è fatto appello ai cittadini affinché assumessero un atteggiamento responsabile, attenendosi alle disposizioni emanate dalle autorità politiche. Ovviamente, data la gravità della situazione, non si poteva contare esclusivamente sul senso di responsabilità delle persone, per cui sono stati attivati controlli e previste sanzioni per le infrazioni. Tuttavia, vi è la consapevolezza del fatto che, in una democrazia, senza una diffusa assunzione di responsabilità da parte dei cittadini sarebbe difficile, e forse impossibile, raggiungere gli obiettivi perseguiti. La crisi ha dimostrato, qualora ve ne fosse stato bisogno, che l’etica è parte integrante della vita sociale e politica. E ciò non vale certo solo per le situazioni eccezionali; ma non è di questo che intendo parlare.

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La responsabilità a cui si fa appello credo che possa essere ricondotta alla weberiana etica della responsabilità, in base alla quale si deve rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni. In altri termini, ciascuno è chiamato a essere responsabile nei confronti del proprio contesto di vita, valutando gli effetti dei propri comportamenti su quest’ultimo. La pandemia, però, ha mostrato la debolezza o l’assenza di tale senso di responsabilità in fasce significative della popolazione, non solo nel nostro paese. Credo che sia utile interrogarsi sulle ragioni di questo fenomeno.

Il significato etimologico della parola responsabile rimanda all’atto del rispondere. La responsabilità – sia essa intesa come un rispondere- di (quello che si fa) o come un rispondere-a (l’altro) – è sempre risposta a un appello. Essa presuppone, dunque, due condizioni: l’apertura del soggetto e la sua capacità di governare se stesso.

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Se la responsabilità è risposta (positiva o negativa) a un appello, la sensibilità del soggetto nei confronti di tale appello è un suo requisito essenziale. Per poter rispondere occorre sentire, nel senso di ascoltare. Come ha osservato Hans Jonas, non ci sarebbe alcun “tu devi” se non ci fosse nessuno in grado di sentirlo prestandovi ascolto. Questa apertura/capacità di ascolto presuppone il riconoscimento, da un lato, dell’autorità dell’istanza che interpella e, dall’altro, dello statuto di verità del suo appello. La convergenza di questi due fattori genera quel rapporto di fiducia nei confronti del soggetto che ci interpella, necessario affinché il principio di responsabilità possa radicarsi e consolidarsi.

D’altra parte, l’apertura correlata alla responsabilità non è un dato naturale immutabile, e può essere mantenuta solo grazie alla capacità di contrastare tutte quelle forze interne (passioni, interessi, ecc.) che spingono il soggetto a chiudersi, a essere sordo nei confronti degli appelli provenienti dal mondo esterno. Un certo governo di sé rappresenta l’altra condizione del senso di responsabilità. Ad esempio, durante questa pandemia siamo stati continuamente chiamati a dominare desideri e tendenze spontanee per attenerci ad alcune regole comportamentali.

Se questo è vero, allora l’autoreferenzialità (che ci rende insensibili, sordi alla voce delle istanze che ci interpellano) e la passività (che ci rende incapaci di autogovernarci) impediscono il sorgere del senso di responsabilità. Vanno poi aggiunti almeno altri due elementi: la crisi di legittimazione delle autorità (politiche, ma anche scientifiche) da cui provengono gli appelli e la sussistenza di condizioni di neutralizzazione delle verità di fatto, che svuotano quest’ultima, la fanno cadere nel nulla, la depotenziano, rendendola inefficace. L’affiorare delle teorie del complotto è solo il caso più evidente ed estremo (negazionismo) dell’intrecciarsi di questi due ultimi elementi all’interno di settori significativi dell’opinione pubblica. 

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La mia impressione è che la nostra società (e non penso ovviamente solo all’Italia) abbia negli anni alimentato la crescita dei suddetti fattori e che oggi ne paghi le conseguenze: fa appello a un senso di responsabilità di cui ha profondamente minato le condizioni di possibilità. Penso, in primo luogo, all’egemonia di un individualismo esasperato, che ha promosso in molti una narcisistica rappresentazione di sé come centro del mondo, rendendoli insensibili, e talvolta del tutto sordi, alla voce dell’altro e ai valori costitutivi della res publica. La deriva impolitica di tale individualismo, che i populismi hanno abilmente strumentalizzato, sta oggi mostrando tutta la sua pericolosità, ostacolando quella cooperazione sociale che sarebbe necessaria per fronteggiare la crisi sanitaria. In secondo luogo, mi pare che emergano le conseguenze di una certa sovranità del desiderio, connessa a tale individualismo narcisistico. Le ultime generazioni sono cresciute spesso in un ambiente in cui ai desideri è stato dato il primato su tutto: molti, invece di essere allenati a governare se stessi (cosa che dovrebbe costituire l’obiettivo principe di ogni pratica educativa), sono stati lasciati in balia di se stessi, del tutto succubi dei propri desideri, costantemente alimentati e assecondati dal contesto. Per queste persone l’appagamento dei desideri è diventato un diritto e ogni limitazione a tale appagamento viene quindi vissuto come un sopruso, un’ingiustizia. Come ci si può adesso aspettare da loro che dominino i propri desideri e assumano un atteggiamento responsabile? 

Se quanto detto risponde ai fatti, risulta allora alquanto paradossale, e per certi versi contraddittoria, l’insistenza con cui oggi, di fronte alla pandemia, da più parti si fa appello alla responsabilità dei singoli. Sarebbe utile non limitarsi ad evocare retoricamente il principio di responsabilità, ma interrogarsi su come sia possibile ricostituire le condizioni essenziali affinché tale principio possa radicarsi e consolidarsi, nella consapevolezza che esso costituisce uno dei pilastri delle società democratiche, non solo in tempi di crisi sanitaria come quello attuale.

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