Uno studio ha scoperto che il nuovo coronavirus potrebbe essere comparso in una miniera già nel 2012
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Uno studio ha scoperto che il nuovo coronavirus potrebbe essere comparso in una miniera già nel 2012

Secondo un'inchiesta del Sunday Times, il contagio potrebbe aver avuto origine in una cava di rame abbandonata nello Yunnan, piena di guano e pipistrelli.

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7 Luglio 2020 - 08.06


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Il coronavirus responsabile della pandemia di Covid-19 avrebbe fatto la sua comparsa in Cina già nel 2012, quando sei persone svilupparono una polmonite anomala dopo essere state mandate a ripulire una miniera di rame abbandonata nello Yunnan, l’estremo sud della Cina, piena di guano e pipistrelli, e terreno fertile per la nascita di micro-organismi e agenti patogeni possibilmente letali, lo scrive.

È’ quanto emerge da un’inchiesta sull’origine del coronavirus pubblicata dal Sunday Times, che retrodata la scoperta di un nuovo tipo di coronavirus simile a quello della Sars: tre dei sei operai che avevano visitato la miniera morirono in seguito al ricovero in ospedale, dopo avere sviluppato sintomi non riconducibili ad altre patologie note. Il loro caso apparve inspiegabile e sottoposto allo pneumologo Zhong Nanshan, che si era già distinto per la gestione dell’epidemia di Sars nel 2003 e che sarebbe tornato alla ribalta a inizio 2020, a capo della squadra di scienziati del governo cinese che aveva il compito di gestire la nuova epidemia.

I tre pazienti rimasti in vita – più un quarto che sarebbe morto successivamente – furono sottoposti a un test degli anticorpi: dall’esame emerse che nessuno di loro aveva contratto la Sars, ma tutti e quattro avevano contratto un nuovo tipo di coronavirus simile a quello che provocava la sindrome respiratoria acuta grave. 

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Il caso aveva attirato l’attenzione di un gruppo di scienziati, che muniti di tute e occhiali protettivi e di respiratori, entrarono nella miniera pochi mesi dopo, ad agosto 2012, e raccolsero centinaia di campioni per la ricerca. Tra loro c’era anche Shi Zhengli, la scienziata dei pipistrelli, che aveva iniziato le sue ricerche su questi animali e sui virus a loro collegati nel 2004, diventandone la massima esperta nel Paese asiatico.

I campioni fecali di 276 pipistrelli, raccolti nell’arco di un anno, vennero inviati all’istituto di Wuhan, dove era in costruzione il primo laboratorio in Cina di livello 4 di bio-sicurezza, il più alto, che sarebbe stato completato solo nel 2017, e che avrebbe potuto ospitare gli studi sui patogeni più pericolosi per l’uomo. La necessità di una struttura di quel tipo, la prima in Cina, si era resa indispensabile per la quantità di campioni raccolti e per i possibili rischi: le prime scoperte indicavano la compresenza di più coronavirus all’interno della miniera, come emerso da uno studio del 2016 a cui lavorò la stessa Shi Zhengli. Uno di questi era un “nuovo ceppo” di Sars che venne denominato inizialmente RaBtCov/4991, riscontrato in un particolare tipo di pipistrelli. Il laboratorio, però, aveva suscitato dubbi sull’effettiva sicurezza della struttura da parte degli scienziati dell’Ambasciata Usa in Cina che lo visitarono nel 2018, come emerso da cablogrammi diplomatici citati dal Washington Post nei mesi scorsi.

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Altro fattore di preoccupazione sarebbero stati gli esperimenti sulla mutazione del virus per capirne il livello di infettività. Shi si difese dalle critiche affermando che quel tipo di esperimenti era importante per capire come un ordinario coronavirus potesse trasformarsi in un killer, come era avvenuto per la Sars.

Quando si diffuse la notizia dei primi pazienti affetti da polmonite anomala, il 30 dicembre scorso, la scienziata – da Shanghai dove si trovava – tornò velocemente a Wuhan. Per giorni controllò il laboratorio e le analisi compiute sui primi pazienti, molti dei quali avevano visitato un mercato locale che vendeva selvaggina: non c’erano riscontri con i virus studiati in laboratorio, tesi che sostenne piu’ volte pubblicamente. In un suo studio del 3 febbraio scorso, pubblicato da Nature, Shi citò i pipistrelli come probabile origine del nuovo coronavirus, rivelando che il suo laboratorio disponeva di un virus con un livello di somiglianza a quello del Covid-19 pari al 96,2%. Il virus a disposizione nel laboratorio, nominato RaTG13, forniva quindi la prova più vicina all’origine del coronavirus responsabile dell’ondata di polmoniti anomale.

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Altri studi e conferme ricevute dallo stesso Sunday Times rivelano che quel virus sarebbe stato lo stesso RaBtCov/4991 scoperto nella miniera abbandonata dello Yunnan nel 2012 e rinominato. Nonostante le smentite del laboratorio di Wuhan di avere avuto un ruolo nella diffusione del coronavirus, i dubbi sull’origine del Covid-19 non sono stati risolti: il Wuhan Institute of Virology è stato al centro di forti polemiche a livello internazionale che puntavano il dito contro la Cina, accusandola di opacità nella gestione dell’epidemia.

Nei prossimi giorni, una squadra di scienziati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si recherà in Cina proprio per cominciare le indagini sull’origine del coronavirus Sars-CoV-2 responsabile del Covid-19, e cercare di comprendere eventuali legami tra i pipistrelli dello Yunnan e il laboratorio di Wuhan, a oltre mille chilometri di distanza.

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