La scoperta del San Matteo: "La Lombardia aggredita da due ceppi diversi di Covid-19"

Lo ha reso noto il professor Fausto Baldanti, direttore del reparto di Virologia del San Matteo di Pavia: "A Bergamo circolato un virus diverso da quello che ha colpito Lodi e Cremona"

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4 Luglio 2020 - 17.24


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“Grazie a uno studio che abbiamo condotto con il Niguarda di Milano abbiamo scoperto che ci sono stati due diversi ceppi del virus in Lombardia. Quello circolato nella zona di Bergamo è diverso da quello che si è diffuso tra Cremona e Lodi”.

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Lo ha reso noto il professor Fausto Baldanti, direttore del reparto di Virologia del San Matteo di Pavia. “Sono differenti per sequenza genetica e caratteristiche e hanno provocato due diversi focolai”, ha detto.  

“Il virus a Codogno già da metà gennaio” “Il Covid-19 – ha precisato il virologo pavese – secondo i nostri studi circolava nella zona rossa di Codogno già dalla metà di gennaio: dagli esami effettuati, abbiamo scoperto anticorpi che risalivano a quell’epoca. L’immunità di gregge comunque è ancora lontana dall’essere raggiunta. Sempre dai controlli effettuati è emerso che nella zona rossa di Codogno solo il 23% della popolazione ha incontrato il virus. Da questo dato capiamo quanto sia importante rispettare le regole di prevenzione, dalla mascherina al distanziamento sociale”.

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 Professor Bruno: “Protocollo seguito a Wuhan qui non funzionava” Il professor Raffaele Bruno, primario di Malattie Infettive, ha sottolineato che “il San Matteo ha avuto il merito di reggere l’urto della pandemia, anche nella fase più acuta, grazie allo straordinario impegno di tutto il personale, con una menzione particolare per gli infermieri. Al Policlinico ci siamo resi conto che il protocollo seguito a Wuhan da noi non funzionava: abbiamo seguito altre terapie antivirali, puntando molto sulle terapie antivirali”.

 L’efficacia della plasmaterapia Il professor Cesare Perotti, primario del Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, ha tracciato un bilancio della plasmaterapia: “Abbiamo raccolto 329 donazioni, con donatori giunti anche dal Trentino. Una manifestazione di grande generosità, che ci consente ora di avere a disposizione un numero di sacche di plasma da utilizzare in caso di un’eventuale seconda ondata in autunno. Il ricorso al plasma iperimmune ha ridotto la mortalità dal 15% al 6%. A riconoscere il nostro lavoro è stata anche la Commissione Europea, che ci ha assegnato l’incarico di scrivere le linee guida per tutta Europa per la terapia con il plasma donato da pazienti convalescenti. Il rammarico è che in Italia solo i colleghi dell’ospedale di Mantova hanno deciso di adottare il nostro protocollo: abbiamo calcolato che se l’identica scelta fosse stata adottata in tutta Italia, probabilmente sarebbe stato possibile salvare oltre 3mila pazienti che purtroppo sono morti”. 

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