La ricetta del virologo Pregliasco: "Mascherine, distanze e intervenire subito nei focolai"
Top

La ricetta del virologo Pregliasco: "Mascherine, distanze e intervenire subito nei focolai"

Lo studioso: "Dobbiamo evitare con il nostro comportamento responsabile e con il lavoro di tracciamento, che i focolai crescano e che il virus riprenda forza".

Il virologo Fabrizio Pregliasco, dell'università degli Studi di Milano
Il virologo Fabrizio Pregliasco, dell'università degli Studi di Milano
Preroll

globalist Modifica articolo

27 Giugno 2020 - 09.36


ATF

Dieci focolai di Covid attivi “non sono una passeggiata, ma se facciamo fronte a queste situazioni in modo tempestivo, sono ottimista: eviteremo una seconda ondata in autunno”.

Lo sostiene il virologo Fabrizio Pregliasco, precisando che “ogni Servizio sanitario regionale deve funzionare in modo efficiente e proattivo, bisogna andare a cercare le situazioni di pericolo e fare indagini epidemiologiche”.

“Senza eccedere nel liberi tutti o nella fobia – sottolinea Pregliasco -, si deve fare un’applicazione sistematica e di buon senso di mascherine e distanziamento. E non perdiamo l’abitudine di stare un po’ lontani dagli sconosciuti”.

Quanto ai focolai e ai contagiati asintomatici, “c’è una possibile e residua capacità di contagio. E per loro va mantenuta la quarantena fino a che il tampone non diventa negativo. Dobbiamo isolarli, non possiamo dire che siccome sono asintomatici li possiamo liberare. Molti positivi non hanno alcun sintomo. E com’ è accaduto in questi focolai, se non li avessero identificati, sarebbero ancora in giro a infettare sotto traccia. Persino nel mio ospedale abbiamo scoperto una signora positiva che è stata sottoposta a tampone prima del ricovero. Se non rileviamo questi casi potrebbe succedere un nuovo disastro”.

Leggi anche:  Inchiesta mascherine, la Procura chiede 1 anno e 4 mesi di carcere per Domenico Arcuri: le accuse dei Pm

Tra gli asintomatici, dice ancora il virologo, “i più pericolosi sono quelli che non hanno sintomi ma stanno incubando la malattia. E sono i più inquietanti perché sono sicuramente infettivi”, mentre i debolmente positivi, quelli che hanno fatto il coronavirus in passato, “alcuni studi ci dicono che non sono più contagiosi, anche se il tampone è positivo, ma ci sono anche lì delle eccezioni. Inoltre, l’Oms ci dice che dopo circa 13 giorni dalla malattia non si dovrebbe essere più infettivi. Può darsi. Ma, in attesa di altre conferme, dobbiamo essere il più possibile protettivi”.

“Questa malattia è multiforme – continua -. All’inizio abbiamo visto i casi più gravi e gli asintomatici non li abbiamo rilevati perché non potevamo permettercelo. Ora si fanno anche molti test sierologici che fanno scoprire una quota parte dei positivi che però non sappiamo se hanno finito il ciclo di malattia. Il virus c’è ancora, ma con le misure di contenimento circola meno e quindi vediamo pochi casi. È la legge dei grandi numeri: su pochi malati, ci scappa quello grave ma la gran parte è formata da casi banali che prima non vedevamo. Dobbiamo evitare – conclude -, con il nostro comportamento responsabile e con il lavoro di tracciamento, che i focolai crescano e che il virus riprenda forza”.

Native

Articoli correlati