Il virologo Silvestri: "L'Italia segua con attenzione le dinamiche dei trial sugli anticorpi monoclonali"
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Il virologo Silvestri: "L'Italia segua con attenzione le dinamiche dei trial sugli anticorpi monoclonali"

Il docente negli Usa alla Emory University di Atlanta: "Iniziare una discussione seria per non farsi trovare spiazzati da quello che potrebbe essere un clamoroso 'game changer' per Covid-19".

Guido Silvestri
Guido Silvestri
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4 Giugno 2020 - 15.02


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Le speranze sono tante, le certezze poche: “Invito fin da oggi chi di dovere, a livello di ministero della Salute, Cts, Iss, Aifa, Regioni, a seguire con molta attenzione le dinamiche dei trial” sugli anticorpi monoclonali in fase di sviluppo “ed iniziare una discussione seria per non farsi trovare spiazzati da quello che potrebbe essere un clamoroso ‘game changer’ per Covid-19”.
Lo afferma il virologo Guido Silvestri, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta, nella sua rubrica social ‘Pillole di ottimismo’.
“L’unica cosa che non mi piace degli anticorpi monoclonali anti-Sars-CoV-2 da usare nella terapia contro Covid-19 – scherza Silvestri – sono i loro ‘nomi-sigla’, che li rendono praticamente impossibili da memorizzare. Per cui, invece di BD-368-2, B38, H4 e CB6, mi diverto a chiamarli Brenno, Dodi, Paolone, Silvietta, etc. in onore dei miei amici d’infanzia senigalliesi. Scherzi a parte, questi anticorpi monoclonali sono diretti contro la proteina S1 di Sars-CoV-2 e sono in grado di neutralizzare con grande potenza la capacità del virus di legarsi, tramite la proteina S1, al suo recettore cellulare Ace2, in un processo che rappresenta il passo necessario per infettare la cellula ospite”.
Tre di questi anticorpi “sono stati studiati con ottimi risultati nel topo umanizzato che esprime il recettore Ace2 umano. Un altro ha dato risultati promettenti nel macaco” e un altro, LY-CoV555, “è entrato ufficialmente in fase clinica con uno studio di fase I randomizzato, in doppio cieco e placebo-controlled, che raccoglierà 40 pazienti e si chiuderà il 23 agosto”.
Questi anticorpi monoclonali “hanno ottime chance di funzionare negli esseri umani esattamente come hanno funzionato nei topi e nelle scimmie. Se tutto va come speriamo nei trial di fase I e II, lo scenario che potrebbe verificarsi nei prossimi mesi è di questo tipo: la persona che sviluppa i sintomi va al pronto soccorso, si fa una bella flebo” di anticorpo “e se ne torna a casa abile ed arruolato”, aggiunge Silvestri.
“Tutto splendido, ma è qui che torna di nuovo fuori il concetto di preparazione. Perché considerando la tempistica dei trial, la complessità della produzione di alte dosi di questi anticorpi, ed i costi non esattamente bassi di queste terapie, mettersi rapidamente nella condizione di trattare 20-30.000 persone al mese verso dicembre/gennaio (se necessario) non sarà un gioco da ragazzi”, avverte il virologo.
“Qualcuno dirà: ‘E’ una terapia da ricchi, non sarà mai applicabile in Africa, India, etc’. E’ vero, e lo stesso vale, da anni, per le terapie contro Hiv e Aids. Per cui, a maggior ragione, usiamo questa possibilità come un grimaldello per cambiare questo ingiusto paradigma e trovare nuove soluzione per garantire a tutti gli esseri umani i benefici della scienza e della medicina moderne”, esorta l’esperto.

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