Migranti, una strage immane sventata da una Ong: c'è chi li chiama "taxi del mare"

Merito di Geo Barents, la nave di Medici senza Frontiere che, nonostante ammende, minacce, ritorsioni amministrative e logistiche, continua ancora a solcare le acque tempestose del Mediterraneo.

Migranti, una strage immane sventata da una Ong: c'è chi li chiama "taxi del mare"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Aprile 2023 - 14.23


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Poteva essere una strage ancora più grnde, ancora più immane, di quella consumatasi a Cutro. Se è stata evitata, se centinaia di esseri umani sono ancora in vita, lo si deve al pronto intervento di una nave Ong, una di quelle a cui il governo securista di Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi ha dichiarato guerra: la Geo Barents, la nave di Medici senza Frontiere che, nonostante ammende, minacce, ritorsioni amministrative e logistiche, continua ancora a solcare le acque tempestose del Mediterraneo.

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Strage sventata

Scrive Alessandra Ziniti su La Repubblica: “Malta si disimpegna e l’Italia accoglie i 440 migranti salvati dalla Geo Barents in zona Sar, di competenza de La Valletta. Finisce così, con la riproposizione del caso Malta, il travagliatissimo soccorso del peschereccio di 30 metri partito quattro giorni fa dalla Cirenaica e rimasto in balia delle onde altre quattro metri con i migranti senza acqua e cibo da due giorni. Il Viminale ha indicato come porto di sbarco Brindisi alla nave di Medici senza frontiere ma un centinaio di persone saranno trasbordate prima su un mezzo militare italiano e portate in Sicilia per non sovraccaricare troppo il porto pugliese. Malta, che aveva coordinato in un primo tempo il soccorso mandando due mercantili ad ombreggiare il barcone, si è poi tirata indietro quando è arrivata la Geo Barents in modo da non essere obbligata a concedere il porto ai 440 migranti.

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Torna il nodo dei soccorsi nel Mediterraneo: se non fosse arrivata la nave umanitaria chi avrebbe portato in salvo queste persone? Le autorità marittime di Malta, nella cui competenza di zona Sar ricadeva il peschereccio di 30 metri sovraffollato segnalato da Alarm phone già lunedì, non sono mai intervenute con loro mezzi, aspettando, come fanno sempre, che il barcone riuscisse ad arrivare in acque italiane. Il centro di coordinamento di Roma, dal canto suo, alle ripetute richieste di soccorso di Alarm phone ha risposto picche invitando a chiamare La Valletta. Uno scaricabarile sulla pelle delle persone interrotto solo dall’arrivo della Geo Barents, molto distante, che ha risposto alla richiesta di Alarm phone. 

Solo dopo diverse ore, con il rischio altissimo che le circa 500 persone segnalate (ovviamente tutte senza salvagente) potessero cadere in mare se il barcone si fosse ribaltato, le autorità maltesi si sono decise ad assumere il coordinamento del soccorso. Ma Malta si è rifiutata di coordinare l’intervento della Geo Barents pe evitare, come prevedono le regole della Sar, di dover assegnare il porto per lo sbarco. La nave umanitaria, arrivata in zona all’alba di ieri, è riuscita a mettere in mare i due gommoni d’altura solo nel pomeriggio per le condizioni del mare, i volontari hanno prima distribuito i salvagente alle persone costrette a rimanere a bordo del barcone ancora per diverse ore e solo in nottata sono riusciti a trasbordare tutti a bordo”.

Le ultime dalla nave salvavite

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Le autorità italiane ci hanno appena informato che cento persone scenderanno dalla Geo Barents dopo un trasbordo verso un’imbarcazione dell’assetto navale italiano al largo delle coste della Sicilia. Dopo questa operazione, Geo Barents andrà a Brindisi, porto assegnato per lo sbarco delle altre 339 persone. Una persona è stata invece evacuata la scorsa notte per ragioni mediche”. Lo riferisce Medici Senza Frontiere, che ieri ha soccorso 440 migranti su una nave motopesca nel Mediterraneo. Secondo quanto confermato dalla Prefettura di Brindisi, che ha convocato per oggi alle 17 un tavolo di coordinamento per tutte le operazioni, l’arrivo della nave è previsto per dopodomani, venerdì 7 aprile. 

Le “ambulanze del mare”

Non solo la Geo Barents. La nave Ocean Viking della Ong Sos Mediterranée ha soccorso nel pomeriggio di sabato 92 migranti stipati a bordo di un gommone “sovraccarico e sgonfio” al largo delle coste della Libia.

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Tra le persone salvate ci sono “9 donne e 40 minori non accompagnati“.Nella didascalia del post si legge anche la maggior parte di loro “è in condizioni esauste oppure ha riportato ustioni e ferite durante la traversata”. Sul posto è intervenuta anche una delegazione della Croce Rossa, che ha immediatamente soccorso i naufraghi più bisognosi. Molti di loro presentavano condizioni di ipotermia.

L’organizzazione umanitaria con sede a Marsiglia ha successivamente protestato per il porto di sbarco assegnatole. Il governo italiano ha infatti identificato nella città di Salerno il punto di arrivo. “880 chilometri di distanza, con il meteo in peggioramento. Temiamo che la navigazione possa colpire negativamente i sopravvissuti”, denuncia Sos Mediterranée.

Schifani invoca lo stato d’emergenza

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La situazione degli sbarchi “è cambiata per l’instabilità notevole dell’area subsahariana a partire dalla Tunisia. C’è una trattativa di sostegno per aiutare la Tunisia” perché “se non si intercetta il problema sul nascere difficilmente si potrà gestire la questione”. Lo ha detto il presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, ai microfoni di “Radio anch’io” su Rai Radio1. A Lampedusa, dove nelle settimane scorse sono arrivate 2.600 persone, “abbiamo fatto la nostra parte come Regione”, per affrontare quello che è stato “uno sbarco senza precedenti”, ha aggiunto. “Siamo alla vigilia di una dichiarazione di stato di necessità e urgenza”, ha sottolineato Schifani. “Ci siamo confrontati con il ministro dell’Interno (Matteo Piantedosi) all’inizio degli sbarchi e ci saremmo riservati di valutarla qualora ci fosse stata continuità”, ha spiegato. “Continuando cosi andiamo verso lo stato di emergenza” che andrà “concordato con il ministero dell’Interno”, ha concluso.

Cosa è oggi la Tunisia

Lo racconta su Il Riformista Luca Casarini, capomissione di Mediterranea Saving Humans: “Gli obitori di Sfaxs traboccano di cadaveri di migranti subsahariani affogati in mare. L’allarme lanciato dal direttore della Sanità Regionale Hatem Cherif, rimbalzato in tutte le agenzie stampa del Mediterraneo, si poteva ascoltare in viva voce su Radio MosaiqueFM. Da Trapani,da Mazara del Vallo, da Pantelleria e Lampedusa, dove il segnale e la musica dell’emittente arrivano forti e chiari.

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La Tunisia è qui, a 100 km di mare, 14 ore di traghetto da Palermo, 2 ore di aereo. Tunisia è casa per migliaia di italiani, e i legami di vicinato che uniscono il nostro sud con le loro coste a nord, datano millenni di storia. L’immagine dei poveri corpi senza nome né diritti, nemmeno da morti, accatastati dentro gli stanzoni ospedalieri del complesso di medicina legale dellospedale universitario Habib Bourghiba, non può non prendere la gola. Se sei lì, lo fa anche fisicamente. Un obitorio pensato per trentacinque salme, quando ne ha cento, emana un odore forte, che la formalina e i deodoranti chirurgici non riescono a contenere. Dall’inizio dell’anno, secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni,450 morti accertati nel mare tunisino, un numero indefinito di dispersi.

La Tunisia non è, ancora, la Libia. «Ma non è più una democrazia», dice l’European Council on Foreign Relation, riferendosi alla svolta autoritaria impressa dal presidente dittatore Saied, che ha usato il potere ottenuto a furor di un popolo sfiancato dall’economia stagnante e infuriato con la “casta”, con le elezioni di due anni fa, per sciogliere tutto, dal parlamento alla Corte Suprema, e incarcerare un bel po’ di oppositori politici e giornalisti. Al sud, a Zarzis, tempo fa le autorità ci hanno provato a far sparire 18 cadaveri di un naufragio, seppellendoli alla meglio per non dover spiegare niente ai familiari. Ma la popolazione si è ribellata, con scontri e barricate durati giorni. Anche a Sfax,dove lavorano medici e ricercatori dentro quel dipartimento di Medicina legale, non è così semplice liberarsi dei corpi che il mare ha restituito, anche se quelle erano vite di “subsahariani”, donne, uomini e bambini profughi, non di tunisini con famiglie che li reclamano”.

La denuncia dell’Onu

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Da un lancio di Italpress: “Un comitato delle Nazioni Unite ha osservato che il numero di detenzioni arbitrarie di migranti dal sud del Sahara è notevolmente aumentato in tutta la Tunisia dall’inizio di febbraio. Molti di loro continuano a essere detenuti, anche nel centro di detenzione amministrativa di Ouardia, dove alcuni migranti sono detenuti da più di 18 mesi.


Il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale (Cerd) ha esortato le più alte autorità tunisine a condannare pubblicamente e prendere le distanze dall’incitamento all’odio razzista. Ha inoltre invitato lo Stato a combattere ogni forma di discriminazione razziale e violenza razzista contro i migranti, in particolare dal sud del Sahara e i cittadini neri tunisini.


Il Comitato si è detto allarmato per le osservazioni fatte dal Capo dello Stato tunisino a fine febbraio, secondo le quali “orde di migranti illegali” in arrivo dai paesi africani a sud del Sahara facevano parte di “un piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia” e sono stati fonte “di violenze, crimini e pratiche inaccettabili”. Il Comitato ha dichiarato che tali osservazioni violavano la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale

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A seguito delle osservazioni del Capo dello Stato tunisino, centinaia di migranti provenienti da Paesi come la Costa d’Avorio, Mali, la Guinea e il Senegal hanno deciso di tornare nei propri Paesi d’origine e migliaia di altri hanno lasciato la Tunisia su barconi, alcuni di loro hanno perso la vita, mentre cercando di raggiungere l’Italia. Molti altri migranti e rifugiati del sud del Sahara sono stati sfrattati con la forza dalle loro case o hanno perso il lavoro e hanno cercato protezione e assistenza dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).

Tunisi batte cassa

Per gestire i flussi dei migranti clandestini verso l’Europa, la Tunisia sta impiegando tutte le risorse e i mezzi a sua disposizione. Ma questi non sono illimitati, tanto più che stiamo attraversando un periodo di difficoltà per l’economia e le finanze pubbliche. Di più non possiamo fare”. Lo dichiara Nabil Ammar, 57 anni, ministro degli Esteri tunisino in una intervista a La Repubblica. “Abbiamo bisogno di finanziamenti e di materiale. La Tunisia ha ricevuto molto meno fondi europei per finanziare questa battaglia di altri Paesi, come la Turchia ma anche l’Italia stessa” continua. “A emigrare da qui non sono solo i tunisini, la maggior parte provengono dai Paesi subsahariani. La Tunisia è un Paese di passaggio, presa come in una morsa tra il suo Sud e il suo Nord. Abbiamo imbarcazioni e mezzi operativi che sono stati donati dai Paesi europei, Italia compresa, per intercettare questi migranti”. “Il Governo di Giorgia Meloni ci sta sostenendo tantissimo. Ma sia con l’Italia che con l’Europa dobbiamo allargare la cooperazione al di là dei migranti. La Tunisia ha tante potenzialità: creiamo qui e nei Paesi subsahariani le condizioni per uno sviluppo vero. Andiamo al di là della logica: vi diamo i soldi e in cambio voi bloccate la migrazione clandestina». 

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Nessun riferimento al rispetto dei diritti umani, né alla caccia ai migranti scatenata dal presidente Saied.

Cosa che il governo italiano considera peraltro secondarie, rispetto all’unica questione che l’assilla: esternalizzare le frontiere e avere anche in Tunisia, come in Libia, qualcuno che fa il lavoro sporco – i respingimenti – al posto nostro. “Abbiamo sempre detto che in Tunisia le riforme andavano fatte, ma non possiamo neanche abbandonare il popolo tunisino che soffre. Dobbiamo aiutare i tunisini ad uscire da questo momento di difficoltà economica.

Dobbiamo guardare all’Africa con gli occhiali africani e non con quelli europei. Dobbiamo insistere sulle riforme ma non commettere l’errore fatto con la primavera araba, quando dietro le file dei manifestanti c’erano i Fratelli musulmani. I finanziamenti italiani sono 100 milioni che verranno dati alle imprese, c’è un controllo, non regaliamo i soldi al governo del momento”. Lo ha detto il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, parlando ieri alla Stampa estera a Roma. 
“Noi chiediamo sui migranti un maggior impegno europeo – ha aggiunto il ministro perché le coste italiane sono frontiere europeo. Siamo preoccupati per il corridoio balcanico. Per quanto riguarda le Ong abbiamo dato delle regole. Abbiamo detto che non possono fare i taxi del mare. Non c’è stato nessun accanimento contro le Ong, neanche l’impedimento a salvare i migranti. Guardia costiera e guardia di finanza fanno egregiamente il loro lavoro”.

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No comment. Per carità di patria.

Salvare è un dovere

Il soccorso svolto da un’organizzazione dello Stato professionale come la nostra è un’attività che, seppur in emergenza, richiede disciplina ed organizzazione, non estemporaneità o improvvisazione. Per questo la Guardia Costiera ha sempre operato e opera su una base giuridica certa e stabile”, così il comandante generale della Guardia costiera, l’ammiraglio Nicola Carlone, in audizione alla commissione Trasporti della Camera. “C’è la responsabilità penale diretta e personale dei nostri operatori, siano essi in mare o nelle centrali operative – ha aggiunto – Non vi sono ordini, disposizioni o suggerimenti che, da qualunque parte vengano, possano farci derogare da questo modello”. L’ammiraglio ha anche parlato della difficoltà degli altri Paesi vicini nell’effettuare i soccorsi e della necessità che quindi, spesso, la Guardia Costiera intervenga in un’area Sar non di propria competenza, nonostante l’area Sar italiana misuri 500mila chilometri quadrati. “L’assenza o inadeguatezza” degli apparati di soccorso degli altri Paesi frontisti fa sì che, “in ossequio alla Convenzione di Amburgo, quando noi veniamo a conoscenza di unità” bisognose di soccorso, “anche se queste si trovano fuori dalla acque di responsabilità italiana, c’è l’obbligo di intraprendere le azioni necessarie e continuare a coordinare i soccorsi”. Questa, ha spiegato, “e ormai una prassi frequente“. “Le nostre unità sono sempre più impegnate nell’operare a distanze elevatissime dall’Italia e questo sta determinando un logorio del nostro strumento aeronavale: servono interventi urgenti di adeguamento”, ha concluso.

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Più chiaro di così…

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