Migranti: ora Piantedosi pensa al decreto Opinione Pubblica (magari per metterla a tacere)

L’opinione pubblica favorevole li incentiva. Si percepisce all’estero il fattore attrattivo dell’apertura di questo Paese verso l’accoglienza. Cosa che non accade, per esempio, in Grecia

Migranti: ora Piantedosi pensa al decreto Opinione Pubblica (magari per metterla a tacere)
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Marzo 2023 - 13.01


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Incredibile. Vergognoso. Provocatorio. Confessiamo di trovare sempre più difficile aggettivare le esternazioni, pressoché quotidiane, del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, sui migranti. Il titolare del Viminale non conosce limiti alla sua sfrontatezza. E a nulla valgono i dati, tirati fuori dallo stesso ministero di cui è alla guida, né i rapporti di agenzie internazionali che smentiscono le sue elucubrazioni. Imperterrito, Piantedosi continua a spararle grosse, soprattutto su un tema a lui particolarmente caro: quello del pull factor, il fattore d’attrazione dell’”invasione” di migranti. Aveva iniziato con le Ong, a cui ha dichiarato guerra, ma ora ha deciso di allargare l’orizzonte e la gamma dei colpevoli. 

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Fattore d’ignominia

Di cosa si tratti lo racconta, su La Stampa, Francesca del Vecchio: “Mentre la Guardia costiera recupera in mare la novantesima vittima del naufragio di Cutro – scrive Del Vecchio –  il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rivendica la posizione del governo e assicura: «Non arretreremo. Metteremo sotto controllo il fenomeno migratorio». È passato un mese dalla strage di migranti sulle coste calabresi e il titolare al Viminale – che dopo la conferenza stampa post Consiglio dei ministri si era trincerato nel silenzio – è ospite della Scuola di formazione politica della Lega a Milano. La platea, in maggioranza giovani precettati dalle 9 del mattino per l’arrivo di Matteo Salvini, aspetta che il ministro spieghi loro come si fermano gli sbarchi. Ma lui vuole raccontare perché i migranti partono: «L’opinione pubblica favorevole li incentiva. Si percepisce all’estero il fattore attrattivo dell’apertura di questo Paese verso l’accoglienza. Cosa che non accade, per esempio, in Grecia».

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Si dice preoccupato per «la bella stagione, foriera di maggiori sbarchi a causa del tempo favorevole: gli organizzatori dei traffici hanno facilitazioni», spiega ancora. Poi si rivolge all’Europa che «deve fare qualche passo in più verso l’inevitabile egoismo dei movimenti secondari secondo la regola di Dublino», ma è convinto che il tema dell’immigrazione sia tornato «in cima all’agenda Ue grazie al presidente Meloni».

Fin qui Del Vecchio. 

Avete letto bene. Senza un barlume di autocritica, né di pudore, il ministro Piantedosi mette sotto accusa niente meno che l’opinione pubblica favorevole, rea a suo dire d’incentivare i migranti. Pazzesco. E allarmante.

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A darne conto, con a consueta chiarezza e nettezza, è Sergio Scandura, l’inviato di Radio Radicale tra i più profondi conoscitori della realtà del Mediterraneo. “Prima hanno accusato le Ong di essere pull factor, salvo essere smentiti da numeri e fatti. 

Ora accusano l’opinione pubblica di essere il fattore di attrazione.

Opinione pubblica reato universale.

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Prepararsi a un nuovo decreto Opinione Pubblica”, scrive su Twetter Scandura. Ma nel governo securista i ministri fanno a gara a chi la spara più grossa. E sul podio non può mancare Matteo Salvini.

“I numeri di quest’anno sono inaccettabili per un paese moderno, civile e evoluto, anche perché non siamo in grado di dare assistenza a questa gente. Con tanti italiani in difficoltà non possiamo essere lasciati da soli”. Così pontifica il ministro delle Infrastrutture,  a Pordenone, commentando la questione migranti subito dopo aver appreso dell’ennesima strage nel Mediteraneo.”Vediamo se l’Europa finalmente, dopo anni di chiacchiere, passa dalle parole ai fatti perché le frontiere italiane sono frontiere europee – ha detto – Lampedusa, Cutro, Ventimiglia, Trieste, Brennero sono frontiere europee. Quindi non possiamo essere lasciati da soli ad accogliere decine o centinaia di migliaia di persone e occorre intervenire nell’altra sponda del Mediterraneo, in Africa”.

In cosa dovrebbe sostanziarsi questo intervento, il leader leghista si guarda bene dallo specificarlo. Un blocco navale a largo delle coste libiche, come evoca la premier Meloni? O l’implementazione del non meglio precisato “piano Africa” tirato fuori in ogni dove dalla presidente del Consiglio nonché dal ministro degli Esteri Antonio Tajani?. Non è dato saperlo.

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Esodo di massa

Nel frattempo continua ad aumentare il flusso di migranti che attraversano la rotta della Tunisia per raggiungere le coste italiane. Decine di barconi, gommoni e piccole imbarcazioni stanno lasciando il porto di Sfax. Nelle scorse 24 ore sono stati oltre tremila i migranti che si sono messi in viaggio e più di sessanta gli sbarchi avvenuti. Nello Stato magrebino la crisi economica e di tensione politica ha provocato un aumento vertiginoso di partenze che ora allarma l’Europa e il governo italiano. Tunisi è comunque solo un territorio di transito per salpare verso il Mediterraneo: i profughi che partono sono originari di Congo, Camerun, Nigeria, Costa d’Avorio e Guinea, Sierra Leone, Siria, Tunisia, Marocco e Burkina Faso, in tanti dicono di aver pagato tremila dinari tunisini per la traversata.

Ennesima strage

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Aumentano salvataggi e arrivi, ma si moltiplicano anche i morti. Almeno 19 migranti provenienti dall’Africa subsahariana sono deceduti al largo della Tunisia a causa del naufragio dell’imbarcazione sulla quale si trovavano mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Italia: lo ha reso noto alla Reuters un funzionario della Ong Forum tunisino per i diritti sociali ed economici (Ftdes). . L’agenzia di stampa, che riporta la notizia sul suo sito, non precisa quando è avvenuta la tragedia. La Guardia costiera tunisina ha salvato 5 persone dall’imbarcazione davanti alla costa di Mahdia, ha aggiunto il funzionario della Ong, affermando che i migranti erano partiti dalle spiagge di Sfax. Altro dramma in mare si è consumato in area Sar maltese dove, dopo il naufragio di due barchini, almeno sette cadaveri sono stati recuperati dalle motovedette della Guardia costiera e delle Fiamme gialle italiane che sono intervenute. La capitaneria è riuscita a trarre in salvo una decina di persone mentre altre sono state recuperate da un peschereccio tunisino che era in zona, poi scortato verso il porto di Lampedusa. Solo alcune ore prima al largo della costa tunisina si erano persi i contatti con trentaquattro migranti provenienti da Paesi dell’Africa sub-sahariana: risultano tuttora dispersi dopo che la barca sui cui viaggiavano è affondata. “Non potendo raggiungere la maggior parte delle imbarcazioni, stiamo cercando di stabilire quali siano arrivate, intercettate o capovolte. Sono necessari grandi sforzi di salvataggio”, spiega Alarm Phone, l’organizzazione indipendente di supporto ai migranti che attraversano il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Quest’ultima ha anche segnalato una barca in pericolo con circa 84 persone al largo della Libia, ma gli attivisti di Sos Mediterranée che si erano avvicinati all’imbarcazione sarebbero stati minacciati dalle autorità libiche che avrebbero esploso colpi di arma da fuoco in aria.

Secondo i dati Onu, dalla Tunisia sono salpati quest’anno almeno 12mila migranti giunti in Italia, contro i 1.300 dello stesso periodo del 2022. Secondo le statistiche di Ftdes, la guardia costiera tunisina ha impedito a più di 14.000 migranti di salpare su barconi nei primi tre mesi di quest’anno, rispetto ai 2.900 dello stesso periodo dell’anno scorso.

Ancora sulla Tunisia

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Di grande interesse è il report, per Agi, di Angelo Ferrari.

“ Crisi politica, economica, migrazioni fuori controllo, una miscela esplosiva per la Tunisia che sta allarmando le cancellerie occidentali – annota Ferrari-. A preoccupare maggiormente sono i flussi migratori che rischiano di andare fuori controllo. E le parole del presidente, Kais Saied, non sono certo rassicuranti.

Il presidente tunisino, infatti, ha invocato “misure urgenti” contro l’immigrazione clandestina di africani subsahariani nel suo paese, sostenendo che la loro presenza è fonte di “violenze, crimini e atti inaccettabili”. Ma Saied si è spinto anche oltre, sostenendo che l’immigrazione dall’Africa subsahariana fa parte di una “impresa criminale ordita all’alba di questo secolo per modificare la composizione demografica della Tunisia”, in modo che potesse essere considerata un paese “solo africano” e offuscarne il suo carattere “arabo-musulmano”.

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Date queste premesse, per Said è necessario “porre fine in fretta” a questa immigrazione invocando “misure urgenti”. Nel paese è in atto un giro di vite senza precedenti. Queste parole hanno innescato un meccanismo perverso. Molti degli immigrati dell’Africa Subsahariana stanno premendo per partire, per raggiungere la meta che si erano prefissati: attraversare il Mediterraneo e arrivare in Europa. Altri, la minoranza, ha accettato i rimpatri offerti dalle varie ambasciate. Costa d’Avorio, Mali, Burkina Faso, Guinea e Ciad hanno iniziato a evacuare i cittadini che vogliono lasciare la Tunisia, attraverso rimpatri volontari.

Migranti e situazione economica

Secondo i dati ufficiali citati dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) la Tunisia, un Paese di circa 12 milioni di abitanti, conta più di 21mila africani subsahariani, la maggior parte dei quali è irregolarmente nel paese. Molti di loro, la maggioranza, arriva in Tunisia per poi tentare di immigrare illegalmente in Europa via mare.

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A questi si aggiungono i cittadini tunisini che fuggano da una situazione economica che va sempre più deteriorandosi. Gli indicatori sono tutti negativi. Ma le parole di Saied hanno avuto anche ripercussioni internazionali. Il Fondo monetario internazionale ha sospeso l’accordo raggiunto l’anno scorso che prevedeva un prestito di 1,9 miliardi di dollari vincolato alla revisione dei programmi economici che la Tunisia sarà in grado di mettere in campo.

La ragione principale della sospensione dell’erogazione del prestito risiede nell’incertezza politica in cui versa il paese e per la sistematica violazione dei diritti umani. La Tunisia, come altri stati africani, vedrà nel 2023 una contrazione del Pil: nel 2022 si è attestato al 2,2% e per il 2023 si prevede una crescita del 1,6%.

Le previsioni sono contenute nel rapporto sulle prospettive per l’economia mondiale del Fondo monetario internazionale (Fmi). Data la crisi in atto in Tunisia anche la Banca Mondiale ha sospeso il Country Partnership Framework (Cpf), che è la base per il monitoraggio da parte del consiglio di amministrazione della Bm al fine di valutare e sostenere il paese nei suoi programmi di aiuto.

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La sospensione è stata presa fino “a nuovo ordine”. In una nota la Banca Mondiale (Bm) ha ribadito che “la sicurezza e l’inclusione dei migranti e delle minoranze fanno parte del nucleo di valori della nostra istituzione, vale a dire l’inclusione, il rispetto e l’antirazzismo in tutte le sue forme. La direzione del Gruppo della Banca mondiale lo ha espresso in modo inequivocabile al governo”.

E queste decisioni sono un duro colpo per il paese: il tasso di inflazione è fuori controllo e i prezzi dei beni di prima necessita sono schizzati alle stelle innescando una crisi sociale senza precedenti. Ma per il ministro dell’Economia, Samir Saied, “si tratta solo di un rinvio delle discussioni sul prossimo programma” e che questo non “avrà un impatto negativo” sulla Tunisia.

La crisi politica

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A tutto ciò si aggiunge la crisi politica. Dalla presa del potere il 25 luglio 2021 con un “golpe bianco”, Saied ha ripetuto, fino alla noia, di voler rompere con il sistema semi parlamentare che aveva prevalso dopo le primavere arabe.

Da pochi giorni si è insediato il nuovo Parlamento che, secondo Said, “non sarà come quello di prima. I deputati devono capire che lavoreranno sotto il controllo del popolo tunisino”, che per il presidente significa sotto il suo controllo. Secondo molti osservatori, questo nuovo parlamento è “privo di reale sostanza”.

La partecipazione alle ultime elezioni parlamentari, volute dal presidente, non ha superato l’11 per cento. La maggior parte, infatti, dei partiti di opposizione ha boicottato la tornata elettorale. Il nuovo Parlamento è stato eletto sulla base di una nuova Costituzione, voluta da Said, che ha istituito un sistema iper-presidenzialista e ridotto praticamente a zero i poteri dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo, che era il vero centro di potere nel sistema in atto dopo la caduta della dittatura di Zine El Abidine Ben Ali

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 La principale coalizione di opposizione, il Fronte di salvezza nazionale (Fsn), ha affermato in un comunicato di non riconoscere il nuovo Parlamento frutto di “una Costituzione golpista” e il partito islamo-conservatore Ennahdha ha sostenuto, sempre attraverso un comunicato stampa, il suo rifiuto di riconoscere “un’assemblea parlamentare priva di qualsiasi legittimità”.

Secondo Said, infatti, l’idea che i parlamentari formino “blocchi” è una “pratica superata”. Il Parlamento, inoltre, è costruito a immagine e somiglianza del presidente: alcuni deputati provengono da partiti vicini a Said, altri sono semplici sostenitori. Insomma, in Tunisia c’è un uomo solo al comando”. 

Un autocrate reazionario, razzista, aggiungiamo noi. Una tragica parodia mediterranea del securista magiaro Viktor Orban. Il liquidatore della “rivoluzione dei gelsomini”, che i securisti al governo in Italia hanno elevato a “gendarme” del Mediterraneo. E tra i suoi più accaniti fans c’è Matteo Piantedosi.  

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