Schlein rappresenta la voglia di cambiamento: ma solo dai fatti capiremo se la sua vittoria sarà positiva

Il risultato delle primarie è un fatto di forte rottura che può segnare la fine del Partito democratico come l’abbiamo finora conosciuto e riaprire i giochi. Che poi Elly Schlein abbia il fisico e il quid per reggere la sfida è ancora tutto da verificare

Schlein rappresenta la voglia di cambiamento: ma solo dai fatti capiremo se la sua vittoria sarà positiva
Elly Schlein
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Claudio Visani Modifica articolo

27 Febbraio 2023 - 12.31


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A sorpresa ma neanche troppo Elly Schlein vince la sfida contro Stefano Bonaccini alle primarie del Pd. Vittoria netta, 54 a 46, che ribalta il risultato dei circoli, cioè del voto degli iscritti, nel quale il presidente dell’Emilia-Romagna aveva prevalso di venti punti, 54 a 34, sulla sua ex vice che dopo essere diventata politicamente famosa con “Occupy Pd” ai tempi dei 101 che silurarono la candidatura al Quirinale di Romano Prodi ora quel partito a cui non era nemmeno più iscritta l’ha occupato per davvero, diventandone segretaria. 

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L’esito dimostra tre cose: l’assurdità di uno statuto che fa eleggere il segretario del partito non dagli iscritti, come sarebbe logico, ma dalla qualunque; l’irrilevanza dei circoli figli del partito liquido veltroniano e renziano, nemmeno lontani parenti delle sezioni del Pci-Pds-Ds che avevano radicamento territoriale e antenne sensibili sulla società; il distacco dell’apparato Pd dal sentire del suo elettorato, specchio dell’allontanamento di questi anni del Pd dal Paese reale e dai valori tradizionali della sinistra. 

Non so dire se la vittoria della Schlein sia un fatto positivo per chi come me sogna una sinistra moderna con una identità definita, idee, proposte e politiche chiare sulla guerra, la crisi climatica, il lavoro, la giustizia sociale, i diritti. Una sinistra radicale ma inclusiva, antimperialista, pacifista, ecologista, capace di guardare oltre il capitalismo globalizzato, che sta dalla parte dei più deboli e ha l’ambizione di cambiare il mondo e non di fare il volto più umano del liberismo come ha fatto in tutti questi anni predicando il ritornello stantio del riformismo. Perché la sinistra o è speranza di cambiamento, voglia di un mondo migliore, utopia, o non è. 

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Di tutto questo, dopo le sconfitte degli ultimi anni e mesi, con la peggior destra al governo del Paese e il nazionalismo che torna a ruggire in Europa, si sarebbe dovuto discutere nel percorso congressuale del Pd, che invece si è ridotto a un derby infinito tra i due principali candidati. Uno, Bonaccini, umili radici comuniste, ex bersaniano fulminato sulla strada del renzismo, espressione del consociativismo e della buona amministrazione emiliana, considerato l’usato sicuro e il volto nazional-popolare del partito. L’altra, Schlein, ricca di famiglia, padre americano e madre italiana entrambi accademici, tre passaporti, cosmopolita, gender fluid, movimentista, nativa democratica civatiana dopo essersi fatta le ossa nelle campagne elettorali di Obama, eurodeputata col Pd, vicepresidente dell’Emilia-Romagna con la lista Coraggiosa (di sinistra-sinistra) che poi ha mollato per il seggio in Parlamento e l’iscrizione last minute al Pd che le ha consentito di poter correre alle primarie. 

Tra i due, Schlein è quella che ha saputo rappresentare la speranza di cambiamento e di riscatto di un elettorato di centrosinistra, e soprattutto di sinistra, mai così depresso e “rifugiato nel bosco” come ora. Di certo il risultato delle primarie è un fatto di forte rottura che può segnare la fine del Partito democratico come l’abbiamo finora conosciuto e riaprire i giochi. Che poi lei abbia il fisico e il quid per reggere la sfida è ancora tutto da verificare.  

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