Lo spazio vuoto a sinistra: serve più cultura per arginare il qualunquismo dilagante

Domenica scorsa, il popolo ha sancito in maniera inequivocabile la vittoria schiacciante di quella Destra che, per sua stessa tradizione, lo vuole con la pancia piena e la testa vuota.

Lo spazio vuoto a sinistra: serve più cultura per arginare il qualunquismo dilagante
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Seba Pezzani Modifica articolo

27 Settembre 2022 - 17.15


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Dov’è la Sinistra?

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Verrebbe da pensare, alla luce dell’ultimo responso elettorale, che lo spazio a sinistra sia stato completamente occupato dalle false promesse di benessere, ricchezza, addirittura lusso che, ormai da decenni, colonizzano il pensiero popolare, globalizzandone la libera interpretazione del mondo, narcotizzandone quella capacità di elaborazione del sé che rappresenta tuttora l’ultimo bastione di difesa dalla tirannide del capitalismo più spietato e dall’indifferenza più abbietta. Chi un tempo si riconosceva in determinati valori – che a sinistra venivano promossi più che a destra – oggi fatica a ritrovarsi, a individuare la propria via in un sistema diverso in cui la coscienza di classe sembra essersi perduta.

È crollato il muro che contrapponeva il comunismo reale al capitalismo occidentale ed è, fortunatamente, venuto a mancare il soffocamento della libertà individuale in nome di un’ideologia totalizzante – quella del blocco sovietico – senza, però, che nessuno facesse nulla per arginare l’espansione incontrollata di un altro pensiero unico, quello del capitalismo a stelle e strisce. L’avvento del globalismo, con il passaggio da una tirannide di un pensiero al dominio di un altro pensiero unico e inattaccabile, ha segnato il pianeta. L’Italia non rappresenta certo un’eccezione virtuosa.

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Crollato il blocco del comunismo reale, si sono in qualche modo sgretolati gli schieramenti politici contrapposti, avvicinando pericolosamente soggetti un tempo inaccostabili, lasciando alle loro spalle vuoti incolmabili. Il dio “successo”, improntato all’esteriorità e a un benessere quasi sempre sbandierato come traguardo collettivo e sempre meno raggiungibile a livello individuale, ha colonizzato l’arena politica italiana, appiattendola su posizioni ideologiche via via più omologate, al punto che, domenica scorsa, il popolo ha sancito in maniera inequivocabile la vittoria schiacciante di quella Destra che, per sua stessa tradizione, lo vuole con la pancia piena e la testa vuota. Della serie, “Operai, pensate a lavorare, che al resto pensiamo noi”.

Quando le posizioni su certi temi sensibili si fanno troppo simili, il disorientamento è dietro l’angolo. Quell’arroccarsi sul promontorio del consumismo prima di ogni altra cosa ha forse spento ogni ardore politico in quella parte della popolazione italiana che un tempo faceva del proprio attivismo una ragion d’essere? Quel voltare le spalle allo spirito antibellicista che della Sinistra è sempre stato un vessillo le ha fatto guadagnare voti? Quel non sapere dare risposte alle frange deboli, abbandonandole a se stesse persino in luoghi un tempo sacri per la Sinistra, ha disilluso le masse e le ha avvicinate a chi offriva loro formule magiche per superare la crisi economica e riconquistare un senso minimo di sicurezza? Altrimenti, come spiegare il fatto che una figura come quella di Isabella Rauti, figlia di Pino Rauti, più volte entrato in indagini relative allo stragismo bombarolo di stampo neofascista, – non certo un delitto essere figlia di cotanto padre, ma nemmeno una medaglia al merito – abbia potuto espugnare una roccaforte rossa come Sesto San Giovanni, la “Stalingrado italiana”, o che Fratelli d’Italia abbia prevalso nettamente a Stazzema, il comune martire della brutalità neonazista?

E come spiegare la scelta di candidare in un collegio difficile per la Sinistra (ma pure tradizionalmente favorevole a essa) come quello di Bologna l’ex-presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini? D’accordo, le urne lo hanno premiato, ma quale sarà la ricaduta futura di tale scelta, considerato che il pensiero socialista gli è quasi del tutto alieno? Un po’ di lungimiranza in più non guasterebbe e il rischio è che il patto di fiducia stipulato dalla Sinistra con il suo popolo si sgretoli ulteriormente.

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Credo ancora nella forza del sistema democratico del nostro paese, pur con tutte le sue debolezze, fragilità e imperfezioni e, dunque, l’ampio margine con cui la Destra si è imposta in queste elezioni non mi spaventa particolarmente. D’altra parte, il responso delle urne era largamente prevedibile ed è stato ampiamente previsto. Il tempo – poco tempo, si spera – dirà se si tratta di una fiducia ben riposta. Una donna ai vertici del paese ci sarebbe dovuta essere da tempo. È triste che la primogenitura spetti a chi non ha mai ripudiato apertamente le nefandezze del Fascismo.

Purtroppo, i tentativi di metabolizzare la brutta figura rimediata nei seggi domenica sono ancor più imbarazzanti della pesante scoppola rimediata. La corsa a immaginarsi un futuro con un leader donna per porsi nello stesso solco della Destra trionfatrice con Giorgia Meloni lascia esterrefatti, sottintendendo un femminismo di facciata e non una presa di posizione autenticamente paritaria. Quando si è prospettata l’ipotesi di un’alleanza tra Partito Democratico e Azione, in molti a Sinistra hanno storto il naso. I due segretari sono rampolli di due famiglie che li hanno cresciuti nella bambagia: difficilmente avrebbero potuto rappresentare degnamente chi oggi aspira a quegli stessi privilegi e non più all’egalitarismo di partenza che dovrebbe animare ogni forza politica autenticamente dalla parte dei più deboli.

Le aspirazioni al ribasso – ovvero, come detto, a successo e ricchezza invece che a umanità e inclusione – su cui si sono appiattiti proprio quei lavoratori che ne hanno sempre rappresentato la base sono un pessimo punto di ripartenza per la Sinistra. La cultura, non solo quella di classe, può essere l’unico argine a qualunquismo e populismo dilaganti. Ma va promossa. Per farlo, servono figure di spessore intellettuale e di grande forza morale. Le parole non bastano più.

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