Bambini-soldato: così hanno rubato loro l'infanzia e li hanno trasformati in strumenti di morte

Le Nazioni Unite hanno verificato 266.000 casi di gravi violazioni contro i bambini in più di 30 situazioni di conflittoin Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina negli ultimi 16 anni. Una nota dell'Unicef

Bambini-soldato: così hanno rubato loro l'infanzia e li hanno trasformati in strumenti di morte
Bambini soldato
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

31 Dicembre 2021 - 18.20


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Hanno rubato loro l’infanzia. Gli hanno messo in mano un mitra, una pistola, un bazooka. Veri, non giocattolo. E li hanno trasformati in strumento di morte.

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Sono i bambini-soldato.

Un fenomeno in crescita

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In una nota ufficiale l’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia,  ha lanciato oggi, ultimo giorno del 2021,  un avvertimento: “Quest’anno si è verificata un’ondata di gravi violazioni contro i bambini sia nei conflitti prolungati che in quelli nuovi. Dall’Afghanistan allo Yemen, dalla Siria all’Etiopia settentrionale, migliaia di bambini hanno pagato un prezzo devastante a causa dei continui conflitti armati, della violenza intercomunitaria e dell’insicurezza.  

Mentre i dati per il 2021 non sono ancora disponibili, nel 2020 sono state verificate dalle Nazioni Unite 26.425 gravi violazioni contro i bambini. I primi tre mesi del 2021 hanno visto una leggera diminuzione del numero complessivo di violazioni gravi verificate, tuttavia i casi verificati di rapimento e di violenza sessuale sono aumentati a tassi allarmanti – rispettivamente di oltre il 50 e il 10% – rispetto al primo trimestre dell’anno precedente. 

I rapimenti verificati sono stati più numerosi in Somalia, seguita dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC) e dai paesi del bacino del lago Ciad (Ciad, Nigeria, Camerun e Niger). I casi verificati di violenza sessuale sono stati più alti in Rdc, Somalia e Repubblica Centrafricana. 

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‘Anno dopo anno, le parti in conflitto continuano a dimostrare un terribile disprezzo per i diritti e il benessere dei bambini”, rimarca  il Direttore generale dell’Unicef Henrietta Fore. ‘I bambini soffrono e muoiono a causa di questa insensibilità. Ogni sforzo dovrebbe essere fatto per tenere questi bambini al sicuro dal male’. 

Le Nazioni Unite hanno verificato 266.000 casi di gravi violazioni contro i bambini in più di 30 situazioni di conflittoin Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina negli ultimi 16 anni. Questi sono solo i casi verificati attraverso il Meccanismo di Monitoraggio e Reporting guidato dalle Nazioni Unite, istituito nel 2005 per documentare sistematicamente le violazioni più gravi contro i bambini nelle zone di conflitto. Le cifre reali saranno molto più alte. 

L’Afghanistan, per esempio, ha il più alto numero di vittime accertate tra i bambini dal 2005, più di 28.500, pari al 27% di tutte le vittime accertate tra i bambini nel mondo. Allo stesso tempo, la regione del Medio Oriente e del Nord Africa ha il più alto numero di attacchi verificati a scuole e ospedali dal 2005, con 22 attacchi verificati nei primi sei mesi di quest’anno. 

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Ad ottobre, l’Unicef ha ricordato che10.000 bambini sono stati uccisi o mutilati in Yemen da quando i combattimenti si sono intensificati nel marzo 2015, pari a quattro bambini ogni giorno. 

Lontano dai titoli, l’Onu ha verificato violazioni in paesi come Burkina Faso, Camerun, Colombia, Libia, Mozambico e Filippine. 

Proprio la settimana scorsa, quattro bambini sarebbero stati tra le vittime quando almeno 35 persone sono state uccise – tra cui due membri dello staff di Save the Children – nello Stato di Kayah nel Myanmar orientale. Questo è stato solo l’ultimo esempio di alto profilo del devastante tributo che il conflitto impone ai bambini e le continue minacce agli operatori umanitari. 

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Quest’anno ricorrevano i 25 anni dalla pubblicazione del fondamentale rapporto di Graça Machel L’impatto della guerra sui bambini, che esortava la comunità internazionale a intraprendere azioni concrete per proteggere i bambini dal flagello della guerra e invitava le Nazioni Unite e la comunità globale ad agire per proteggere i bambini. 

Nonostante decenni di attività di advocacy con le parti in conflitto e con coloro che le influenzano, così come il miglioramento dei meccanismi di monitoraggio, segnalazione e risposta alle gravi violazioni dei diritti, i bambini continuano a sopportare il peso della guerra. Ogni giorno, le bambine e i bambini che vivono in zone di conflitto subiscono orrori indicibili che nessun essere umano dovrebbe mai sperimentare. 

L’uso di armi esplosive, in particolare nelle aree popolate, è una minaccia persistente e crescente per i bambini e le loro famiglie. Nel 2020, le armi esplosive e i residuati bellici esplosivi sono stati responsabili di quasi il 50% di tutte le perdite di bambini, con più di 3.900 bambini uccisi e mutilati. Le armi esplosive possono avere effetti letali e duraturi sui bambini, compresa l’interruzione dei servizi essenziali per la loro sopravvivenza. 

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In molti casi, i bambini sono vittime di molteplici e gravi violazioni dei diritti. Nel 2020, per esempio, il 37% dei rapimenti verificati dalle Nazioni Unite ha portato al reclutamento e all’uso di bambini in guerra, con casi che hanno superato il 50% in Somalia, nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica Centrafricana. 

L’Unicef  – conclude la nota – chiede a tutte le parti in conflitto – comprese le 61 elencate negli allegati del Rapporto annuale del Segretario generale del 2021 sui bambini e i conflitti armati – di impegnarsi in piani d’azione formali e di prendere misure concrete per proteggere i bambini. Questi includono: la prevenzione di gravi violazioni, il rilascio dei bambini dalle forze armate e dai gruppi, la protezione dei bambini dalla violenza sessuale e la cessazione degli attacchi a ospedali e scuole. Solo 37 di questi piani sono stati firmati dalle parti in conflitto dal 2005 – un numero incredibilmente basso se si considera la posta in gioco per i bambini. 

‘In definitiva, i bambini che vivono in periodi di guerra saranno al sicuro solo quando le parti in conflitto intraprenderanno azioni concrete per proteggerli e smetteranno di commettere gravi violazioni”, annota Fore. ‘Mentre ci avviciniamo alla fine del 2021, invito tutte le parti in conflitto a porre fine agli attacchi contro i bambini, a sostenere i loro diritti e ad adoperarsi per soluzioni politiche pacifiche alla guerra’”. 

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Ma chi sono i “bambini soldato”? 

Per “bambino soldato” si intende qualsiasi persona di età inferiore ai 18 anni che è, o che è stata, reclutata o utilizzata da una forza armata o da un gruppo armato. Bambini, bambine, ragazzi e ragazzi vengono arruolati non solo per combattere anche sono anche utilizzati come spie, messaggeri, cuochi, sguatteri, assistenti di campo e per fini sessuali.

Non esiste una statistica ufficiale, solo stime, per un fenomeno volutamente nascosto, considerato illegale dalle convenzioni internazionali ma anco ra largamente diffuso.  I bambini diventano parte di una forza armata o di un gruppo per vari motivi. Alcuni vengono rapiti, minacciati, costretti o manipolati psicologicamente. Altri sono spinti dalla povertà e dal bisogno di sopravvivenza. Indipendentemente dal loro coinvolgimento, il reclutamento e l’utilizzo di bambini nei conflitti rappresenta sempre una grave violazione dei diritti dei bambini e del diritto internazionale umanitario.

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Un impegno da sostenere

IntersosOng in prima linea nelle emergenze umanitarie che aiuta donne e bambini vittime di guerre, violenze e disastri naturali – conduce, con il sostegno di Unicef, unprogetto di reintegrazione di ex bambini soldato nella Repubblica Centrafricana, uno dei paesi più colpiti da questo fenomeno, dove i bambini sono usati da tutti principali attori del conflitto interno in corso dal 2013 e dove il fenomeno ha ormai assunto i contorni di un’emergenza umanitaria. L’organizzazione nel corso del 2020 ha preso in carico 214 ex bambini soldato liberati dai gruppi armati e ad oggi 180 di loro stanno completando il percorso di reinserimento sociale e lavorativo.

Sefaka si è arruolata al gruppo Anti-Balaka dopo che un membro del gruppo armato Seleka ha ucciso i suoi genitori e l’aveva costretta a un matrimonio combinato. Poi, al termine di alcuni incontri di sensibilizzazione organizzati da Unicef per i gruppi armati di Kagabandoro, il suo generale ha deciso di lasciarla andare per prendere parte al programma di reinserimento. “Mi sono unita al gruppo armato solo per rabbia”, racconta Sefeka. “La vita con i ribelli è stata difficile, non sempre avevamo da mangiare – ricorda – ma io pensavo a un unico obiettivo: vendicare i miei genitori”. Grazie al programma di reinserimento, Sefaka ha imparato a cucire e adesso lavora nel suo villaggio, Bakongo, dove ha già diversi clienti. In questi giorni è in attesa di una macchina per cucire e altri materiali che le verranno forniti dal progetto.

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“La piena reintegrazione di un ex bambino soldato è un percorso lungo e complesso, ma possibile” spiegaFederica Biondi, operatrice di Intersos che ha lavorato insieme agli ex bambini soldato. “Significa dare a un minore la possibilità di reinserirsi nella società, accettando di riconoscersi in un nuovo ruolo e in una nuova identità, venendo accettato in questa nuova veste dalla famiglia e dalla comunità in cui va a vivere. E significa anche – racconta – avere condizioni materiali per vivere dignitosamente, attraverso la partecipazione a percorsi di educazione formale e informale e l’acquisizione di nuove competenze”.

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