Dell'Utri su Berlusconi al Quirinale: "Improbabile, ma lui ha realizzato cose impossibili"

L'ex senatore, fondatore di Publitalia, al Foglio: "Grazie a lui ho fatto cose che altri non fanno in dieci vite. Ne è valsa la pena, ho vissuto"

Marcello Dell'Utri
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14 Ottobre 2021 - 09.22


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Marcello Dell’Utri, ex senatore, fondatore di Publitalia, ex detenuto a Rebibbia, si è raccontato in una lunga intervista al Foglio, confermando che Silvio Berlusconi gli baciava le mani e lo chiamava don Dell’Utro, “ridevamo come matti”. 
“Certo che è vero. Noi raccontavamo persino spiritosaggini su Mangano, il famoso stalliere di Arcore. Ci inventavamo storie. Il Cavaliere mi sfotteva. Ridevamo come matti. Ma le pare che uno fa così se ha un mafioso in casa?”.
Sono i racconti di una amicizia con Silvio Berlusconi che risale ai tempi dell’università. 
“Lui pensa di andare al Quirinale. Cosa che io… boh… mi pare improbabile. Anche se io a Silvio gli ho visto fare cose che sembravano impossibili. Quindi mai dire mai”.
Di Vittorio Mangano e Tanino Cinà, che erano mafiosi, ricorda quando li conobbe: 
“Audaci lo eravamo, ma coglioni no. Mi ricordo quando Mangano e Cinà vennero a Milano dalla Sicilia. Berlusconi, dopo averli squadrati, gli fa: “Uhm, accidenti che facce!”. Ma bisogna capire il momento. Eravamo negli anni 70 e la faccia di Mangano poteva tenere lontani i malintenzionati in un periodo violentissimo della storia di questo paese. Una faccia da duro. C’erano i rapimenti, allora. Mangano venne a vivere ad Arcore con la moglie, la mamma della moglie e le due figlie. Che giocavano in giardino con i figli di Berlusconi. Non sembrava un mafioso vero”. 
Dell’Utri parla della sua vicenda giudiziaria e della sua recente assoluzione nel Processo sulla Trattativa Stato-Mafia, “quella gran minchiata della Trattativa” ha detto.  
“Al carcere ormai non ci penso più. È un sogno lontano. È stato peggio il Covid”… “Certo che ho sofferto. Mi sono anche ammalato. Oggi ho una decina di stent. Diciamo che anzi ormai vivo di stent”… “Stavo in una cella due metri per tre, nelle mani della burocrazia carceraria che è un orrore. È fatta per annullarti. Una volta mi feci portare un libro antico, rilegato. Amo i libri. Li colleziono. E le guardie me lo consegnarono squartato, scotennato. È la regola, non lo sapevo: solo libri in brossura. E mai più di quattro. In carcere se vuoi qualcosa, qualunque cosa, devi riempire un modulo. Lo chiamano in gergo “domandina”. Per una penna, una matita, un volume… Ecco la “domandina”. Quando passava troppo tempo chiedevo alle guardie: ”È arrivata la rispostina?”. Insomma, certo che ho sofferto. Ma poi penso: Ho anche letto molto, mentre stavo in cello. Ora ho 80 anni. Sono vivo. In fondo va bene così”. 
Quando chiamò Silvio Berlusconi a testimoniare, il Cav non andò. 
“Glielo avevano vietato gli avvocati. Anzi per 5 anni gli hanno proprio vietato di incontrarmi, persino di parlarmi al telefono. Credo che il primo a soffrirne sia stato lui”… “Io non ho visto né sentito il mio amico dal 2014. Fino all’altro giorno”… “Confalonieri veniva a trovarmi in carcere, almeno una volta al mese. E io gliene ero grato, più di quanto forse non sia mai stato in grado di fargli capire. Mi portava i saluti di Silvio, sempre. Ma la verità è che io Silvio me lo sognavo pure la notte. Ripensavo ad Arcore. Ai tempi belli e lontani. Quell’uomo mi ha cambiato la vita. Mi ha reso ricco, ma soprattutto mi ha fatto divertire, mi ha fatto sognare, mi ha permesso di fare cose che altri non fanno in dieci vite”… “Certo che ne è valsa la pena, Berlusconi vedeva cose che tutti noi, attorno a lui, ritenevamo impossibili. Un realizzatore di utopie”.

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