Lidia Ravera: “Le donne della politica parlano la stessa lingua degli uomini”
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Lidia Ravera: “Le donne della politica parlano la stessa lingua degli uomini”

La scrittrice: "Per ora vedo le compagne di sventura, cooptate dai loro dirigenti, sulla base anche di un loro adeguamento a un modello, ossia il modello della politica che è il trionfo del maschile"

Lidia Ravera
Lidia Ravera
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29 Marzo 2021 - 14.27


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di Antonello Sette

 

Lidia Ravera, lei è stata, anche se temo sia una definizione che non ami, un simbolo della lotte delle donne per l’emancipazione. In questo periodo si parla, forse si straparla, di parità di genere. Le chiedo se risolvano la questione le donne scelte da un segretario di partito maschio in quante donne oppure segnalate come ministre da un altro leader maschio in quanto donne amiche? 

Io penso che le donne cooptate in politica significhino abbastanza poco se vogliamo parlare di parità. Di parità nella differenza. Io – dice la scrittrice rispondendo all’Agenzia SprayNews – immagino che qualcosa cambierà quando le donne arriveranno nelle stanze del potere sull’onda della marea montante del movimento femminista. Quando vi entreranno in quanto capaci di raccontare un’altra storia, di far valere un altro sguardo, di trovare altre parole, di cambiare linguaggio, modi e tempi della politica. Per ora vedo queste coraggiose compagne di sventura, cooptate dai loro dirigenti, sulla base anche di un loro adeguamento a un modello. Il modello della politica che è il trionfo del maschile. Il maschile per eccellenza è quello della politica. Io penso che l’imposizione di quote rosa, o anche l’imposizione voluta da Enrico Letta all’interno del Pd di nomi femminili per delle cariche importanti, vadano bene solo per una fase intermedia. Non è per me un obiettivo ma, visto che la disparità di genere relega le donne in posizioni ininfluenti, va bene anche la cooptazione. Io sono contenta che ci siano dei Sottosegretari donna o dei portavoce donna. La considero la fase intermedia di un percorso che non è quello che avevamo sognato e che io tuttora sogno.

Si poteva pensare da subito, nel caso del Pd, a una segreteria duale?

Sarebbe stato certamente più interessante, ma dipende sempre da chi arriva lì. Io vedo che il personale politico femminile non è molto di verso da quello maschile. Ha solo meno potere e meno visibilità, ma non parla un’altra lingua. Il potere, come interessa a noi, non è un potere che riproduce se stesso, ma è  il potere di poter fare. Il potere di compiere quel miracolo quotidiano di migliorare la vita dei cittadini, di renderli il meno infelici possibile. Io non vedo irrompere nel tempio della politica questo modo altro di vedere, questo modo altro di concepire la politica stessa. 

Lei ha lavorato per cinque anni con Nicola Zingaretti alla Regione Lazio come Assessore alla Cultura. E’ rimasta sorpresa dalla sua decisione di lasciare il Pd, sbattendo la porta e quasi maledicendolo?

No, non sono stata sorpresa. C’era una guerra credo molto sgradevole e penso che alla fine la politica sia tossica. Io non ho particolarmente frequentato Zingaretti durante i cinque anni del mio lavoro. Nelle poche volte che ci siamo parlati abbiamo, però, condiviso il fastidio per certe modalità della politica che, peraltro, alla Regione Lazio erano drammaticamente rappresentate. Parlo del Consiglio Regionale. Io mi ricordo che ero affaticata e stanca, ma contenta, mentre lavoravo all’Assessorato, di riaprire teatri, finanziare rassegne, promulgare bandi per rincoraggiare ogni piccola iniziativa culturale che fertilizzasse l’arido territorio del Lazio dalla base, dai piccoli teatri amatoriali dalle bande di paese e dai gruppi di lettura. L’ho trovato un lavoro entusiasmante perché ho sentito veramente di fare cose utili. Tutto quello che, invece, era la politica pura, far passare quanto avevo immaginato attraverso le forche caudine del Parlamento regionale, mosse quasi sempre da una geometria politica bloccata sull’ostruzionismo privo di contenuti, è stata una grande sofferenza. Penso, quindi, che si possa soffrire anche molto e che più tu hai un ideale alto della politica, più soffri nella battaglia quotidiana, fra rancori e divisioni che purtroppo la sinistra si porta dietro dal !921. E’ da Livorno che ha cominciato a scindersi e non ha più smesso. Capisco che si possa arrivare all’esasperazione. 

Le divisioni, i rancori incrociati e l’esasperazione hanno indotto Zingaretti a mollare di punto in bianco la guida del Pd. Ora che ne sarà di lui? 

Io vorrei tanto che Zingaretti diventasse Sindaco di Roma. Non capisco perché non lo voglia fare. Anzi lo capisco benissimo. E’ una patata bollente. Lui è molto bravo sul territorio. Ha fatto due mandati come Presidente della Provincia e altri due come Presidente della Regione. Forse con lui cominceremmo a vedere qualcosa. Il problema del traffico risolto dal Covid mi sembra drammatica come soluzione. Anche perché, prima o poi, bisognerà ricominciare a vivere.

Lei è detto che il Pd è nato da due anime morte… 

Due anime morte perché prima c’era il Pci morente e la Dc agonizzante. Io avevo pensato in un primo tempo che il Pd volesse dire risalire ai valori fondanti del comunismo e del cristianesimo: essere uguali, essere fratelli. Ci sono dei punti di contatto, se uno legge attentamente il Vangelo e il Manifesto del Partito Comunista. Io pensavo che si arrivasse finalmente al nocciolo e si rifondasse qualcosa basandosi sulla salda e possibile alleanza fra queste due anime. Non è andata così. A quasi quattordici anni di distanza dalla fondazione del Pd, si può vedere che le cose non sono andate in quella maniera un po’ fiabesca che immaginavo io. Io ho sempre questo difetto: la visione fiabesca della politica. Una visione rimasta identica a quella dei miei quindici anni quando ho smesso di andare a messa e mi sono iscritta alla Federazione Giovanile del Partito Comunista. Queste due anime contigue io le salverei tutte e due. Poi, però, la politica non va così e i miei cinque anni alla Regione Lazio mi hanno chiarito che non dovevo più fare Alice nel Paese delle meraviglie, ma aprire gli occhi e prendere le distanze. 

In realtà che il suo mestiere fosse altro lo aveva già detto a Zingaretti, prima di farsi convincere ad assumere l’incarico di Assessore alla Cultura della Regione Lazio. Il suo mestiere credo sia quello di vivere e scrivere. Il 21 aprile sarà in libreria il suo nuovo romanzo “Avanti parla”. Un libro coraggioso e controcorrente in un mondo muto, che si parla addosso o grida…

E’ sicuramente una storia non troppo trendy, ma era urgente per me raccontarla. E’ la storia di una donna della mia generazione.  Mi interessava “il tempo al lavoro” su una biografia tormentata come quella di una donna che, quando era giovane, ha compiuto la scelta estrema della lotta armata.

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