Milano, si ammala di Covid-19 e viene "dimenticato" dall'Ats in quarantena per due mesi
Top

Milano, si ammala di Covid-19 e viene "dimenticato" dall'Ats in quarantena per due mesi

"Ho atteso in casa che mi facessero il tampone dopo essere stato ricoverato, nessuno mi dava risposte, ho dovuto assumere un legale"

Coronavirus
Coronavirus
Preroll

globalist Modifica articolo

6 Maggio 2020 - 12.28


ATF

“Imprigionato” per due mesi in casa, in attesa del tampone, poiché era risultato positivo al coronavirus. Dopo le due settimane di isolamento domiciliare, sono infatti passati altri 40 giorni di isolamento e ne sarebbero trascorsi di più se non avesse fatto intervenire un avvocato.
Lo denuncia a Tgcom24 un 31enne, Niccolò Tramontana, che dal 16 al 19 marzo è stato ricoverato all’Ospedale San Paolo di Milano con una lieve polmonite e la positività alla Covid-19.
“Quando mi hanno dimesso, mi hanno comunicato che dopo due settimane dall’Ats mi avrebbero contattato per il tampone, fino ad allora non sarei potuto uscire di casa”, racconta. Ma queste due settimane sono diventate due mesi. “Ero disperato – afferma – ho iniziato a chiamare con frequenza, ho provato a telefonare anche all’assessore regionale Giulio Gallera ma nessuno mi ha dato risposte solo tante scuse e la promessa di ricontattarmi”.
Fino a quando il ragazzo, il 28 aprile, non ha deciso di far intervenire un avvocato, Antonio Cappelletti, che è riuscito a “liberarlo”.

Il caso di Niccolò non è l’unico: nel Comune milanese infatti è in crescita il numero di persone in attesa di un tampone. “Dall’ospedale e dall’Ats mi hanno detto che sono stato fortunato, perché c’è tanta gente nella mia situazione. Io ho avuto la fortuna di poter assumere un avvocato e sbloccare l’iter”, afferma. 

La malattia e il ricovero “Ho iniziato a stare male l’8 marzo, praticamente quando siamo andati in lockdown, ho avuto la febbre per una settimana, alla fine della settimana si è aggiunta la difficoltà respiratoria, per cui ho iniziato a preoccuparmi. Ho chiamato  il 112 e sono stato portato in ospedale il 15 marzo notte. Il 16 marzo sono stato visitato, ho fatto il test del sangue, le lastre ai polmoni e infine il tampone a cui sono risultato positivo. Sono passato così dal Pronto Soccorso al reparto di Osservazione breve. Sono stato curato con farmaci antivirali e non appena c’è stato un miglioramento sono stato dimesso – spiega -. Di solito in ospedale ti tengono più o meno tre giorni e se vedono che questa malattia promette di migliorare ti fanno tornare a casa e fanno smaltire la malattia a casa. Ed è quello che è successo a me”.

Leggi anche:  Web day, la storia di Alessandro Rimini e spettacoli teatrali imperdibili

Le dimissioni e l’inizio dell’incubo“Il giorno delle dimissioni mi hanno dato un verbale del PS con la mia cartella clinica e un verbale con le indicazioni sul periodo di quarantena di 14 giorni. Dopo due settimane stavo più che bene, così non avendo altre indicazioni ho chiamato l’ospedale che mi ha riferito di contattare l’Agenzia della Tutela della Salute. Ho chiamato il giorno stesso e mi hanno risposto ‘segnaliamo e le faremo sapere’. Sono uscito il 19 marzo dall’ospedale San Paolo e ho iniziato a fare queste chiamate a partire dal 3 aprile – osserva Niccolò -. Inizialmente ho chiamato una volta ogni tre, quattro giorni e la risposta era sempre la stessa: non sappiamo quali siano i tempi ci ridia i suoi dati che facciamo un’ulteriore segnalazione e poi la chiameranno”.

La rabbia e le chiamate più frequenti all’Ats ma anche alla Regione LombardiaIl tempo di clausura forzata inizia ad allungarsi e Niccolò incomincia a chiamare sempre più frequentemente “però la risposta era sempre la stessa, ‘Non so darle i tempi, riprendo i suoi dati e la risegnaliamo’”. “La settimana scorsa ero arrabbiato – sottolinea – e ho provato a telefonare altri numeri come il numero di Milano aiuta, e addiruttura il numero dell’ufficio dell’assessore Giulio Gallera. Mi ha risposto una segretaria presumo che mi ha riferito di inviare una email e che si dispiaceva: tu prova a scrivere, ma anche noi non sappiamo che dirti e alla fine niente”. 

Leggi anche:  Web day, la storia di Alessandro Rimini e spettacoli teatrali imperdibili

“Dall’Agenzia di Tutela per la Salute solo tante scuse e niente di più”“La cosa che più mi ha dato fastidio come cittadino è che non solo non garantiscono un servizio, con il tampone, ma non sanno dire niente di più che ‘mi dispiace rimando una segnalazione’. E’ assurdo. Tra una telefonata e l’altra un operatore si è sbilanciato e mi ha detto: mi dispiace c’è tantissima gente come te. il reparto che si occupa dei tamponi non risponde neanche a noi, mandiamo le segnalazioni ma non ci rispondono”, afferma Niccolò. 

La Pec dell’avvocato e la chiamata per il tampone dopo due oreIl personale lo ha poi invitato a inviare email, così dopo quella all’ufficio di Gallera, il 31enne ne manda varie all’Ats. ma tutte cadute nel vuoto. “Finché – dichiara – non ho contattato il mio avvocato che ha scritto una Pec alla Regione, al Comune, all’Ospedale San Paolo e all’Ats mercoledì mattina, il 29 aprile, e dopo due ore mi hanno chiamato dal San Paolo dicendomi ‘guarda c’è arrivata questa email dall’avvocato c’è stato un grande disguido dall’Ats se vuoi facciamo il tampone domani”. “Naturalmente – afferma – sono andato a fare il primo tampone la mattina di giovedì e il medico si è scusato dicendomi che il numero di persone nella mia stessa situazione era alto ma io ero uno dei pochi fortunati perché ho contattato un avvocato”.

Leggi anche:  Web day, la storia di Alessandro Rimini e spettacoli teatrali imperdibili

Le nuove scuse dell’Ats e lo sbilanciamento: speriamo i dirigenti facciano qualcosa Infine, dopo il danno la beffa. “Dato che evidentemente non c’è una coordinamento nelle comunicazioni tra le varie aziende anche l’Ats mi ha contattato. scusandosi e spiegando che il Comune li aveva sollecitati, nonostante la Pec sia arrivata anche a loro”, evidenzia Niccolò. “Ho riferito che avevo fatto già il primo tampone. L’operatore si è scusato sottolieando di sperare che questa cosa possa servire ai dirigenti per far funzionar meglio le cose. Addirittura, dopo questa telefonata hanno chiamato un’altra volta e la signora al telefono mi ha chiesto i dati e mi ha detto che nessuno nel suo ufficio aveva mai sentito il mio nominativo. Ma era impossibile perché dal 3 aprile al 28 avrò chiamato 20 volte e loro stessi mi avevano ricontattato per sapere come stavo”. 

Native

Articoli correlati