Furio Colombo: "La scritta Juden hier è il frutto dell'odio salviniano e del fascismo di ritorno"

Il giornalista e scrittore che da parlamentare ha proposto l'istituzione del Giorno della Memoria, che si celebra il 27 gennaio

Furio Colombo
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Gennaio 2020 - 09.31


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“Hanno usato la parola ‘ebreo’ perché nella loro mente bacata, rappresenta il massimo dell’insulto, del disprezzo, ma con quella parola, gli untori miserabili che l’hanno vergata sulla porta ella casa in cui aveva vissuta una partigiana riuscita a sopravvivere ai lager nazifascisti, volevano affermare che nel loro mondo, un mondo impregnato di immondizia culturale e di escrementi ideologici che la Storia non ha spazzato via, non c’è spazio per l’altro da sé, per chiunque venga considerato un ‘diverso’.

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A sostenerlo, con la consueta passione civile e coraggio intellettuale, è Furio Colombo, giornalista, scrittore tra i più autorevoli che il nostro Paese può annoverare. Il Giorno della Memoria, che si celebra il 27 gennaio, fu istituito dal Parlamento italiano nel gennaio 2000 su proposta dell’allora deputato Pds Furio Colombo

Alla vigilia del Giorno della Memoria, la cronaca racconta di un antisemitismo che continua a imperversare sui social o in scritte come quella apparsa a Mondovì, sulla porta di casa di Aldo Rolfi, figlio di Lidia, partigiana deportata a Ravensbruck nel 1944.  L’intolleranza, il razzismo, l’antisemitismo rappresentano un virus che ancora non è stato estirpato in Italia?

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“Non è un fenomeno di degrado culturale oltre che politico solo italiano. L’altro ieri il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha partecipato ad una marcia infinitamente controversa, che aveva come bersaglio i diritti delle donne, una marcia nella quale erano presenti non solo fondamentalisti cristiani ma separatisti bianchi.

Questa situazione di squilibrio investe anche l’Italia. Quello che dovrebbe allarmare chiunque abbia una coscienza democratica, non è solo l’estendersi di una zona grigia in cui cresce il consenso verso la demonizzazione di tutto ciò che la parola ‘ebreo’, usata come il massimo dello spregio, contiene, ma è anche interrogarsi su come sia stato possibile l’arretramento non dico solo di ciò che resta di sinistra nel Paese, ma di un fronte progressista. Questa destra cialtrona è cresciuta rimanendo ferma a una narrazione vecchia, che è cresciuta in assenza di una opposizione che non avesse abdicato a quei valori che ne sono stati a fondamento. Non è un problema di chi è più bravo nella gara dei Twetter o nella produzione di fake news. I progressisti hanno perso quando hanno lasciato la piazza nelle mani della destra. Riprendersi la piazza, come luogo di democrazia, come espressione, anche fisica, di una resistenza che ha il senso di sé e l’orgoglio di manifestarlo, è qualcosa che oggi s’invera nell’esperienza delle ‘sardine’. Loro hanno detto: noi ci siamo. Siamo qui, non lasciamo la piazza a chi intende riempirla di odio, di intolleranza. Quello che si è manifestato è importante   segno di speranza che va colto senza indulgere in atteggiamenti professorali. E tra i valori che vanno rivendicati e fatti vivere c’è quello dell’antifascismo. E qui torniamo allo sfregio di Mondovì, e al significato vero che in quella scritta oscena è contenuto…”.

Quale è questo significato?  Si è parlato e scritto di un gesto antisemita, rivolto contro gli ebrei.

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“E’ solo una parte di verità. Mondovì non è una metropoli, e ritengo difficile pensare che gli autori di quella scritta non sapessero che Lidia Rolfi non era ebrea. Ma sapevano che era stata una partigiana, che aveva combattuto i fascisti. Quello che con la parola ‘ebreo’ si voleva oltraggiare era chi era finita in un lager per aver difeso quei principi di libertà e di giustizia che i fascisti avevano calpestato, e non solo con l’infamia delle leggi razziali. Il messaggio che c’è dietro quel Juden hier è : gli antifascisti devono fare i conti con noi. E in quel ‘noi’ c’è l’Italia salviniana. In questo presente impastato di odio, noi ci muoviamo come in un paesaggio urbano costellato  da immondizia ed escrementi ‘culturali’, oltre che fisici. Escrementi che pensavamo la Storia avesse porta via, e invece continuano a manifestarsi e ad ammorbare. Tutto questo è anche il prodotto della lunga  stagione di disprezzo e di accusa verso la Resistenza. E stato un modo di rimuovere e screditare un punto di riferimento, anzi di coincidenza, fra lotta al fascismo e lotta alle leggi razziste antiebraiche. Un cumulo di atti di accusa in decine di libri “contro la Resistenza” si sono assunti questo compito. Tutto ciò è accaduto a sinistra, per opera di autori ritenuti di sinistra, e dunque ha avuto peso e conseguenze. Così come il martellante invito ad abbandonare una volta per tutte il ‘mito’ dell’antifascismo”.

Lei ha parlato di un “fascismo di ritorno”, che si presenta in modi diversi…

“Diversi e per questo ancora più insidiosi: “ci sono quelli che si proclamano fascisti ma si tengono indietro senza entrare nel discorso della democrazia, poi ci sono quelli che vogliono farsi notare, avere ruolo nella democrazia dicendo tuttavia che il razzismo non gli appartiene. Ma il problema è – la storia, ma anche la cronaca odierna, lo insegna – che non c’è fascismo senza razzismo. E vale la lezione contraria: ogni razzismo è fascista perché non esiste il razzismo democratico”.

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Il fascismo di ritorno s’invera anche nella Lega di Matteo Salvini?

“Non bisogna generalizzare ma ancor meno minimizzare. C’è una moltitudine di persone che dice di appartenere a nuovi partiti, come la Lega, ma di non avere niente a che fare con il fascismo. Lungi da me imbastire un processo alle intenzioni. Se consideriamo gli elettori può essere assolutamente vero (c’è chi pensa alla mucca, chi alle quote latte, chi al territorio). Che siano onesti e sinceri può essere benissimo, ma i leader no! Stanno guidando verso il razzismo con tenacia e persistenza. E il fatto che il razzismo sia cuore di una politica, definisce quest’ultima fascista. E’ come quel che direbbe un medico trovando qualcosa nel sangue di una persona: ‘lei si sentirà pure bene, ma c’è questa cosina qui dentro che bisogna assolutamente togliere, perché altrimenti si ammala. Altrimenti si diventa fascisti. Vedi la conversazione al citofono di Salvini con il tunisino”.

Una delle forme di antisemitismo è anche l’antisionismo?

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“Il negazionismo d’Israele non porta fortuna alla sinistra. Vedi la fine di Corbyn. Ma questo atteggiamento di ostilità verso Israele a me sembra essersi  ‘sbiancato’ a sinistra, e forse questo è l’unico aspetto positivo di un generale ‘sbiancamento’ della propria identità e di un sistema di valori che non può essere liquidato come un anticaglia del passato”.

Senza memoria non c’è futuro, ammoniva Elie Wiesel…

Un ammonimento di cui dovremmo fare tesoro, con la consapevolezza, tutt’altro che scontata, che la memoria non è qualcosa che si mantiene nel tempo perché è nelle cose della vita che non sfioriscono. No, non è così. I fatti della vita ci ricordano che la memoria è un bene universale ma non ereditabile. Non passa di padre in figlio come per le tradizioni della famiglia o il rapporto con la città natale. Bisogna di volta in volta reimpossessarsi della memoria, perché è un bene grande ma appunto non ereditabile”

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