Il contrappasso del Papeete: nella Lega cresce il malumore per le spacconate di Salvini

Ora che il Carroccio sta per andare fuori dal governo si fanno i conti: a parte la propaganda anti Ong quali risultati per i cittadini, i lavoratori e gli imprenditori del nord?

Salvini al Papeete di Milano Marittima
Salvini al Papeete di Milano Marittima
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29 Agosto 2019 - 17.14


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Troppo Papeete, troppi proclami ma risultati zero. Ad un imprenditore mica puoi portare come successo il fatto di aver lasciato ad arrostire al sole i migranti salvati alle ‘odiate’ Ong o si aver messo in mezzo alla strada dei poveri Cristi. Ma come sta l’economia e la sicurezza in Italia dopo la cura Salvini? Molto peggio di prima.
“Grazie anche a chi critica, perché le critiche positive sono sempre utili”. Matteo Salvini lo ripete in diretta Facebook, sapendo che un chiarimento nel Carroccio sarà inevitabile. Certo, gli argomenti dei presunti ‘dissidenti’ restano alla periferia del partito e, soprattutto, non mancherà chi farà notare che – con Salvini – la Lega ha raccolto il 34% di voti solo lo scorso 26 maggio, con un leader che ha messo nel carniere un filotto di vittorie in tutte le elezioni intermedie.
Non ci sarebbe solo Giancarlo Giorgetti a rappresentare il malumore interno, con il numero due della Lega che pure, nelle ultime ore e pubblicamente, ha sempre sostenuto come la rottura con Conte fosse inevitabile: “con quel metodo di lavoro non si poteva andare avanti, un metodo di governo non facile da inventarsi per gente inesperta, per tantissimi ministri della Lega o dei 5 Stelle era la prima volta”, ha sottolineato il sottosegretario.
Ma la base, gli ex lumbard mai pentiti, sarebbe in subbuglio. E un pezzo importante del nord-est del Paese, da sempre serbatoio di consensi per la Lega, che adesso vuole qualcuno sul banco degli imputati.

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Tra i malpancisti, infatti, non solo leghisti, ma anche imprenditori e società civile che avevano scommesso sul salvinismo, che puntavano all’autonomia differenziata, sancita in Veneto e Lombardia da due referendum. E che adesso si ritrovano con un pugno di mosche in mano e con la Lega estromessa dalle stanze dei bottoni. 
In particolare i governatori del Carroccio di Lombardia e Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia, volevano capitalizzare l’onda lunga del consenso del Capitano. “Sono 15 mesi che aspettiamo l’autonomia – ha detto Zaia – se non siamo riusciti a ottenerla con la Lega al governo figuriamoci con il Pd…”.
I militanti e i dirigenti sono consapevoli che la questione è delicata, che non c’è una vera alternativa a Salvini al vertice di via Bellerio, ma tra loro fioccano i commenti sorpresi sulle scelte del capo.
Nel mirino i nomi ricorrenti sarebbero quelli dell’uomo più vicino al leader, quel Lorenzo Fontana, ministro veneto, che proprio dai suoi territori viene attaccato. Sempre l’autonomia è il mancato obiettivo che brucia di più. A finire sul banco degli imputati sarebbero anche alcuni degli uomini macchina in Parlamento, chi ha gestito i gruppi, i presidenti delle Commissioni, qualche sottosegretario del governo gialloverde. Salvini sa che deve rinsaldare, se ce ne sarà bisogno, il consenso dal basso. Qualcuno pagherà un prezzo politico per il passo falso delle ultime settimane.

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