Nella querelle che vede contrapposti in queste ore il comandante della Sea Watch, con 53 migranti a bordo, e il ministro dell’Interno Matteo Salvini, interviene anche Bruxelles. Che sembra sposare la scelta della Ong. «Non commentiamo i commenti di un ministro – ha dichiarato la portavoce della Commissione Ue, Matasha Bertaud – In generale la Commissione non ha le competenze per decidere se una nave può sbarcare persone o indicare un posto per lo sbarco. Tutte le navi battenti bandiera europea sono obbligate a rispettare il diritto internazionale e il diritto sulla ricerca e salvataggio in mare che comporta la necessità di portare delle persone in un posto sicuro. La Commissione ha sempre detto che queste condizioni non si trovano in Libia».
Il riferimento è alle parole di Salvini che in mattinata ha reiteratamente parlato della Sea Watch come nave fuorilegge per non aver acconsentito a riportare i migranti salvati in Libia, nonostante per la prima volta la Marina libica avesse offerto il porto di Tripoli come luogo per lo sbarco.
«La Sea Watch sta andando avanti e indietro – ha dichiarato Salvini – ha dimostrato per l’ennesima volta che opera al di fuori della legge. Mi domando perché qualcuno in procura non abbiamo confermato il sequestro di persona e non sia andato avanti con le indagini, perché mi sembra evidente che non rispettano la legge e che favoriscano nei fatti i trafficanti di esseri umani».
Parole a cui ha immediatamente risposto la stessa Ong con un tweet: «Sea Watch rimane senza un porto sicuro assegnato con a bordo 53 persone di cui 5 minori, due molto piccoli. Davvero un ministro della Repubblica italiana vuole costringerci a portare queste persone in un Paese in guerra? Davvero l’Ue permette una tale violazione dei diritti umani?».
Di recente anche un tribunale italiano ha dichiarato che la Libia non è un Paese in cui si possono riportare i migranti. Lo ha fatto assolvendo un sudanese e un ghanese accusati di resistenza per essersi opposti con la forza alla decisione di essere riconsegnati alle autorità libiche e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel caso Vos Thalassa/Diciotti. Il giudice, pur riconoscendo la sussistenza dei fatti, ha assolto i due migranti perché avrebbero agito per legittima difesa. Secondo il tribunale, anche in relazione alle note acquisite agli atti da parte dell’Unhcr, la Libia non può ritenersi un Paese sicuro e l’accordo stipulato nel 2017 tra Italia e Libia è un memorandum «giuridicamente non vincolante e non avente natura legislativa» visto che non è stato nemmeno ratificato dal Parlamento e risulta in palese contrasto con la normativa internazionale, in particolare con la Convenzione di Amburgo che impone agli Stati di garantire, una volta terminate le operazioni di ricerca e salvataggio, che i naufraghi vengano condotti in un luogo sicuro.