Dove c'è legge Salvini perde: la Cassazione stabilisce che il decreto sicurezza non può essere retroattivo
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Dove c'è legge Salvini perde: la Cassazione stabilisce che il decreto sicurezza non può essere retroattivo

Le domande per i permessi di soggiorno inoltrate prima dell'entrata in vigore del decreto Salvini saranno giudicate secondo la normativa precedente

Corte di Cassazione
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19 Febbraio 2019 - 15.52


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La Corte di Cassazione ha stabilito che il decreto sicurezza Salvini è irretroattivo: ossia, le domande per i permessi di soggiorno presentate prima del decreto dovranno essere giudicate secondo la normativa precedente. Se rilasciato, il permesso avrà la dicitura ‘casi speciali’, della durata di due anni: dopodiché, opererà il nuovo regime. 
La portata del provvedimento Salvini viene quindi in qualche modo ridimensionata, anche se sono temporaneamente. La Corte è giunta al verdetto partendo dal ricorso di un cittadino della Guinea cui il tribunale di Napoli aveva detto no alla domanda di protezione internazionale o umanitaria. Si è posto per la Cassazione il problema di quale normativa applicare, visto che la nuova legge, al momento dell’udienza era già entrata in vigore. Per arrivare alla decisione, la Cassazione ha preso atto che il decreto sicurezza ha previsto espressamente due commi che disciplinano i permessi già rilasciati (che rimangono in vigore, anche se alla scadenza saranno applicate le nuove disposizioni) e quelli non ancora rilasciati, ma per i quali la commissione territoriale ha già accertato i presupposti per il rilascio del permesso umanitario (in questo caso, visto che tale permesso non è più previsto, al termine dell’iter sarà rilasciato il permesso per ‘casi speciali’). Rimangono dunque fuori i casi ancora da decidere o per i quali c’è stata una prima decisione negativa per il migrante.
La prima sezione civile della Cassazione ha quindi applicato il principio giuridico che “la legge non dispone che per l’avvenire” anche a questo caso, per non creare “disparità ingiustificate e irragionevoli di trattamento dovute esclusivamente ad un fattore del tutto estrinseco e accidentale quale la durata del procedimento di accertamento”.
Il cittadino straniero, sulla base delle norme modificate dal decreto del 2018 – scrive la Corte – “ha diritto a un titolo di soggiorno fondato su ‘seri motivi umanitari’ desumibili dal quadro degli obblighi costituzionali ed internazionali assunti dallo Stato, che sorge contestualmente al verificarsi delle condizioni di vulnerabilita’, delle quali ha chiesto l’accertamento con la domanda. La domanda, di conseguenza, cristallizza il paradigma legale sulla base del quale deve essere scrutinato”.
Precisa inoltre, che “il potere-dovere delle commissioni territoriali di accertare le ragioni che possano residuare dal diniego delle cosiddetti protezioni maggiori”, come lo status di rifugiato, resta, “ancorche’ rimodulato alla luce della significativa compressione delle ragioni umanitarie realizzata dal decreto legge 113 del 2018”. La Corte ha anche rigettato il ricorso del migrante, che dunque, anche con le vecchie regole non ricevera’ la protezione umanitaria.

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