Roma dice basta: l'epopea di Virginia Raggi, dagli altari alle polveri dell'incompetenza
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Roma dice basta: l'epopea di Virginia Raggi, dagli altari alle polveri dell'incompetenza

La piena grillina l'ha portata alla guida del Campidoglio. Due anni e mezzo dopo la Capitale è assai peggio. E la gente non ne può più di alibi e scuse

Di Maio e Virginia Raggi
Di Maio e Virginia Raggi
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10 Novembre 2018 - 11.22


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Sembra passato un secolo, ma sono solo due ani e mezzo. Quando la sconosciuta Virginia Raggi dal volto rassicurante (come Giggino Di Maio) venne portata in Campidoglio dalla piena grillina all’insegna di: “Hanno fallito tutti, proviamo anche loro”.

Nessuno di quelli che avevano votato la sindaca, poteva immaginare lo sfacelo della città consegnata nelle mani di un manipoli di incompetenti, che non solo non sarebbero stati capaci di risolvere un solo problrma, ma avrebbero fatto precipitare Roma ancora più in basso.
Allagamenti, traffico, immondizia, il tessuto della società civile lacerato, la Casa delle donne sfrattata dalla prima sindaca donna. E poi lo Stadio della Roma in barba alle promesse ambientaliste e al no al mattone sotto l’occulta (e a quanto pare torbida) regia dell’avvocato-faccendiere Lanzalone, messo dai grillini alla guida di Acea al modico stipendio di 250 mila euro l’anno, ovviamente pagati dai contribuenti.

”Il vento sta cambiando, il vento sta cambiando. Roma è pronta a voltare pagina”. Era il giugno 2016 quando Virginia Raggi sorrideva, emozionata, dopo la vittoria al primo turno nella capitale. A metà mandato con le strade ancora piene di buche, e i 180 milioni per ripararle promessi dal Governo amico ma per ora sfumati, rifiuti nelle strade e autobus in fiamme, Raggi si è ritrovata circa 10mila persone sotto il Campidoglio, lo scorso 27 ottobre, a manifestare contro il degrado della città, al grido di ‘Roma dice basta’. Un sit-in, senza bandiere di partito, organizzato via social da sei donne, che ha segnato la prima manifestazione civica di un certo rilievo contro l’amministrazione Raggi.
Eletta sul disastro dell’inchiesta ‘Mafia capitale’, con buona parte della classe politica romana finita a libro paga di Carminati e Buzzi, Raggi stravince alle amministrative del giugno 2016. Dopo due settimane, al ballottaggio del 19 giugno, straccia il dem Roberto Giachetti con il 67,15% dei consensi. Fa il pieno di voti ad Ostia e in periferia, da Tor Bella Monaca a Centocelle, lasciando i soli quartieri bene dei Parioli e centro storico al Pd. Prima donna al Campidoglio e più giovane sindaco a 38 anni ancora non compiuti, Raggi promette il cambiamento perché ”Roma è stata stuprata per anni da una cattiva politica, i cui interessi non erano quelli dei cittadini”.
Per il suo primo anno in Campidoglio si dà un 7 e mezzo, chiede ”pazienza” perché ”per il cambiamento promesso c’è bisogno di tempo” e dà il via al refrain ”stiamo lavorando”.
A dicembre 2017 la Raggi annuncia che non si ricandiderà. ”La regola è chiara”, dice riferendosi al limite dei due mandati nel M5S (è stata già consigliera capitolina nella Giunta di Ignazio Marino). Le opposizioni ironizzano con un ‘tanto nessuno l’avrebbe rivotata” e l’attuale vicepremier, allora solo capo della Lega, Salvini esclama: ”Dopo la tristezza di Spelacchio, è il miglior regalo possibile per i romani!”, richiamando la sorte dell’albero di Natale a piazza Venezia, l’abete rosso arrivato dalla Val di Fiemme, deriso per i suoi rami poco rigogliosi e diventato secco prima di tagliare il traguardo del 25 dicembre.

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Dopo un altro giro di boa, però, c’è poco spazio per il gioco delle pagelle. La sindaca taglia il traguardo del secondo anno alla guida del Campidoglio con l’inizio del processo per falso per la nomina di Renato Marra, fratello del suo ex braccio destro Raffaele, a capo del Dipartimento Turismo e lo scoppio dell’inchiesta sulla costruzione dello stadio della Roma a Tor di Valle, che porta all’arresto per corruzione (13 giugno 2018) anche dell’avvocato genovese Luca Lanzalone, presidente di Acea, di casa nei corridoi di Palazzo Senatorio e considerato il ‘Mr Wolf’ del M5S. Nella rete finisce anche il capogruppo capitolino del M5S Paolo Ferrara, autosospesosi dopo che il suo nome è comparso nelle carte dell’inchiesta per un progetto per la riqualificazione del lungomare di Ostia.

”La legalità e la trasparenza sono il nostro faro”, diceva Raggi nel video di presentazione, in quel febbraio 2016, dove si giocava la candidatura a sindaco con Marcello De Vito (battuto con il 45.5% dei consensi su 1764 votanti). Oggi il rischio è che il primo governo a Cinque Stelle di Roma possa cadere per una sentenza di Tribunale a neanche metà mandato.

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