Immigrazione, lavoro, famiglia: i primi passi del governo di destra in azione
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Immigrazione, lavoro, famiglia: i primi passi del governo di destra in azione

I primi giorni del nuovo esecutivo alle prese con alcuni fra i temi più caldi. Salvini tiene alti i toni, puntando a un difficile calo degli arrivi di migranti.

Salvini e Di Maio
Salvini e Di Maio
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4 Giugno 2018 - 07.45


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Salvini, Di Maio e Fontana. Il governo M5S-Lega parte con tre ministri nell’occhio del ciclone e, insieme ai due vicepremier, quello che di gran lunga finisce per alimentare i primi botta e risposta contro e a favore del nuovo esecutivo è il ministro per la Famiglia e le disabilità Lorenzo Fontana. Le parole sulle famiglie “arcobaleno” che “per la legge non esistono” fanno il paio con l’etichetta di “vice-scafisti” che il ministro dell’Interno Matteo Salvini pronuncia con evidente riferimento alle navi delle Ong che portano soccorso nel Mediterraneo e conducono i migranti nei porti italiani. Meno polemicamente esposto Di Maio, le cui parole sulla legge Fornero e sul Jobs Act risultano attese e in parte perfino condivise da chi aveva finora governato: “Il Jobs act va rivisto, c’è troppa precarietà e uno dei responsabili è proprio il Jobs act”, dice Di Maio, promettendo di migliorare i centri per l’impiego (che “hanno bisogno di più personale, risorse e una filosofia diversa”) e di considerare “fondamentale” il tema delle pensioni. “Siamo d’accordo per fare ‘Quota 100’ per superare la legge Fornero”, dice. “Quota 100” e modifica al Jobs Act che non dispiacciono, pur con alcune accortezze, anche ad uno fra gli esponenti Pd più in vista in tema di lavoro: Cesare Damiano.
Immigrazione. Primi giorni da ministro diviso fra il Viminale e la campagna elettorale per le amministrative di domenica prossima: per Matteo Salvini il viaggio in Sicilia – terra di arrivo dei migranti – si trasforma in un’occasione per ribadire le intenzioni e per provare a specificarle meglio. “Basta alla Sicilia campo profughi d’Europa, non assisterò senza far nulla a sbarchi su sbarchi su sbarchi”, dice.  Dai primi dossier esaminati al Viminale sa quanto difficile sia avviare rimpatri di massa, ma Salvini mantiene il punto: “Serve buon senso, qualcuno pensa che io voglia che qualcuno muoia in mare. Non ha capito nulla. Gli immigrati non devono partire. Lavorerò con i governi dei Paesi africani per limitare le partenze: ho intenzione di andare in Tunisia. Non smantellerò tutto quello che ha fatto Minniti – dice il vicepremier – ma 7 mila espulsioni mi sembrano pochine. A quel ritmo il problema lo risolviamo in 80 anni. Ripeto, bisogna tenere questi disperati nei Paesi d’origine”. La linea pare quella di prevenire le partenze: “La vita è sacra e per salvarla bisogna evitare che le persone salgano sulle carrette del mare. Farò di tutto lavorando con quei governi, per evitare le partenze di quei disperati che pensano che c’è l’oro in Italia quando invece non c’è lavoro per gli italiani. Non c’è casa e lavoro per gli italiani, figuriamoci per mezzo continente africano”.
Nel mirino di Salvini c’è però anche il cosiddetto “business” dell’accoglienza.  “Stiamo lavorando e ho le mie idee: quello che è certo è che gli Stati devono tornare a fare gli Stati e nessun vicescafista deve attraccare nei porti italiani”. E’ un attacco alle Ong, a cui segue quello verso associazioni e cooperative: “Lo Stato sopporta il costo per ogni richiedente asilo più alto d’Europa e ha i tempi di rimpatrio più lunghi. Se ridurremo il costo per ogni singolo ospite vediamo quanti centri accoglieranno altri immigrati per generosità e quanti, solo perché privati dei quattrini, faranno un passo indietro”.
Lavoro e pensioni. Accordo nella maggioranza su “Quota 100”, anche se i dettagli (fondamentali quando si parla di pensioni) devono ancora arrivare: l’ipotesi di riforma vedrebbe un’età minima di 64 anni e dunque la possibilità di andare in pensione con 64 anni di età e almeno 36 anni di contributi, o con 65 anni e 35 anni di contribuzione, o con 66 anni e 34 anni di contributi, a meno che non sia deciso un requisito minimo di 35 anni di contributi. Attesa anche la cancellazione dell’Ape, la “quota 41” (il principio cioè che con 41 anni di contributi la possibilità di andare in pensione sarà sganciata dall’età anagrafica) e la proroga della soluzione sperimentale di “Opzione Donna” per la pensione anticipata rosa. 
“Su Quota 41 sono d’accordo: era una norma contenuta in una mia proposta di legge che ha trovato nella scorsa legislatura una risposta parziale”, dice non un parlamentare 5Stelle, ma l’esponente Pd Cesare Damiano. Che concorda anche su Opzione Donna: “Condivido, volevamo farlo anche noi. Bisogna solo trovare le risorse”. Più ragionato il discorso su “Quota 100”: “Se fosse vero – fa notare Damiano – che parte da 64 anni di età, questa scelta rappresenterebbe  una penalizzazione per chi svolge attività gravose perché questi lavoratori possono andare in pensione a 63 anni con Quota 99 (63 più 36 di contributi). Non solo, per chi è disoccupato o ha un familiare disabile a carico, i contributi scendono a 30 anni (Quota 93). Per le donne, poi, c’è uno sconto ulteriore di un anno per ogni figlio (massimo 2 anni), che porta i contributi necessari a 28 anni (Quota 91). Inoltre, non bisogna dimenticare sempre per queste 15 categorie di lavoratori, che svolgono attività gravose, c’è anche il blocco dell’aggancio dell’età della pensione all’aspettativa di vita. Eliminare l’Ape sociale sarebbe, dunque, molto dannoso per una vasta platea di lavoratori. Si tratterebbe, al contrario, di renderla strutturale. Se poi questa scelta dovesse cancellare anche l’Ape volontaria, che prevede alcune penalizzazioni, toglieremmo la possibilità di andare in pensione a 63 anni con soli 20 di contributi. È una possibilità che favorisce chi ha svolto lavori discontinui, in particolare le donne”.
E sul Jobs Act? Anche qui Damiano offre “consigli” non troppo distanti dalle ricette di Di Maio. “Sarebbe utile – dice l’esponente Pd – intervenire su due punti sui quali ho espresso da sempre le mie critiche: il primo, è rendere strutturali gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato, come ha fatto in parte il Governo Gentiloni: il lavoro stabile deve costare meno di quello flessibile; il secondo, rendere più cari i licenziamenti illegittimi individuali, portando il minimo delle mensilità di risarcimento da 4 a 8”. E intanto se la Cgil chiede i dettagli dei provvedimenti, la Cisl si dice pronta al confronto. 
Famiglia. Avvio di lavoro poco tranquillo per il ministro per la Famiglia e le Disabilità, Lorenzo Fontana, alle prese da subito con le polemiche suscitate da alcune sue interviste, in particolare quelle in cui gli veniva chiesto di esprimersi sulle “famiglie arcobaleno”. Lui alla fine ha retto, ricordando che temi come le unioni civili o l’aborto non fanno parte del programma di governo: “Sui temi etici ci sono sensibilità molto diverse fra M5S e Lega, probabilmente non verranno affrontati da questa maggioranza”, ha detto lui. “Unioni civili e aborto – gli ha fatto eco Salvini – non sono leggi in discussione. Non andremo a litigare e perdere tempo su temi non inseriti che dividono”. Polemiche a parte, la recente Conferenza nazionale sulla famiglia, gestita dal governo Gentiloni, mise in evidenza il tema della bassa natalità italiana come una priorità da affrontare. Come? Fontana ha parlato di “rendere più accessibili gli asili nido, di abbassare l’Iva sui prodotti per l’infanzia, di combattere l’ostracismo di cui sono oggetto le donne quando hanno una maternità o più di una”. E nel concreto anche della possibilità che, quando partirà la flat tax, il primo passo sarà quella di applicarla, ad esempio, alle famiglie con almeno tre figli. A tale proposito, Il Forum delle associazioni familiari fa sapere di aver compiuto delle simulazioni “che non sono andate benissimo”, ma si dice “pronto a parlarne per trovare le migliori soluzioni con il governo”. (ska)
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