Sadiq Khan duella con Trump. Raggi chiede a Beppe: sindaci a confronto

Il primo cittadino di una Londra martoriata da attentati e sciagure mostra un altro profilo; l'altra legge i compitini e si dà un 7.5 dopo un anno di immobilismo

Virginia Raggi e Sadiq Khan
Virginia Raggi e Sadiq Khan
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21 Giugno 2017 - 13.05


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Ci sono due sindaci di due grandi città europee alle prese con situazioni complicate.
Uno si chiama Sadiq Khan, laburista, di origini pakistane ed è di religione musulmana.
L’altra Virginia Raggi, sconosciuta al 99% dei romani fino a poco tempo prima, arrivata in Campidoglio sull’onda di un voto popolare di protesta contro il malaffare trasversale di “Mafia Capitale” e avendo perfino la buona sorte di incontrare al ballottaggio un rancoroso, irascibile Giachetti, espressione del più impopolare renzismo, per il quale nulla ha potuto perfino il “soccorso giallorosso” del pupone Totti e dei suoi soci e l’appoggio sfacciato di gran parte della stampa sensibile più al cemento che all’ecologia.
In questi giorni – difficilissimi per Londra – Sadiq Khan ha affrontato due attacchi terroristici (Westminster Bridge e London Bridge) nonché l’incendio della Genfwell Tower, con il carico di tragedia che si è portata dietro.
Sadiq Khan, con il piglio dello statista, ha duellato a distanza con Trump, definendolo un ignorante (almeno quando si parla di musulmani) chiedendo che venisse annullata la sua visita a Londra e riaffermando il diritto/dovere della città di non arrendersi al terrorismo ma di continuare a fare una vità il più possibile normale.
Ha puntato l’indice, su cose concrete, contro Theresa May per aver tagliato i poliziotti di Londra e dopo la Genfwell Tower è sceso in piazza con la gente, per essere con loro a chiedere verità e giustizia contro il classico “rogo di classe”, ossia un palazzo abitato da “poveri” finito in fiamme perché nono erano state fatte le opere di messa in sicurezza intanto ci abitavano in prevalenza immigrati…
In questi stessi giorni la sindaca Raggi si è data un 7,5 nonostante dopo un anno dal suo arrivo in Campidoglio la città stia peggio di come è stata presa; ha letto un testo pieno di frasi fatte (“la foresta che cresce senza fare rumore”, “risultati che passano in sordina”) evocando una rivoluzione di cui non si è accorto nessuno.
Il tutto condito da guai giudiziari per storie miserrime di promozioni, aumenti di stipendio e gratificazioni agli amici. Ossia per quelle cose che il M5s ha sempre denunciato con foga quando i protagonisti erano gli altri, ma adesso ingoia né più e né meno come la Lega ingoia le disavventure giudiziarie della famiglia Bossi e le lauree in Albania. E condito anche da sgomberi di immigrati messi in mezzo alla strada con procedure che preoccupano addirittura l’alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite.
Uno tiene testa al presidente degli Stati Uniti e alle sue derive xenofobe, l’altra legge i compitini che le hanno preparato, ma prima chiede a Beppe.
Mafia Capitale e il sistema affaristico-politico-criminale che c’era dietro meritavano di essere spazzate via. E su questo non c’è dubbio. Ma Roma merità di più. E darsi un immeritatissimo e bugiardo 7.5 dimostra che il Campidoglio ha bisogno di un sindaco preparato, autorevole. E che ragioni con la propria testa. Tutto il resto sono chiacchiere e demagogia. (E. Con.)

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