Il nuovo fascismo è alle porte e tocca a noi pazzi salvare il mondo
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Il nuovo fascismo è alle porte e tocca a noi pazzi salvare il mondo

Ma davvero la gente non capisce e vota a cavolo? Analisi sul senso di quello che viviamo e sul distacco di media e politica dalla realtà. Spetta a noi sovvertire. [Antonio Cipriani]

Pietra e natura
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Antonio Cipriani Modifica articolo

6 Dicembre 2016 - 13.29


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Alla centesima analisi politica, alla millesima social-politica, mi pongo qualche domanda. Mi sembra evidente che prenda piede un atteggiamento che mi irrita, e che ho già percepito in occasione della Brexit e delle elezioni presidenziali americane: “La gente non capisce e vota a cavolo”.
Una lettura che pervade molti editorialisti e commentatori che si arrampicano sugli specchi della loro non conoscenza della realtà per spiegarci che i cittadini certe volte sono infedeli. Non seguono i ragionamenti dei giornali, non ascoltano bene la Tv, non capiscono che eleganti e famosi calciatori, attori o cantanti si sono espressi con chiarezza e fascino. Hanno spiegato che per il bene di tutti era necessario il Remain in Gran Bretagna, o che vincesse la prode guerriera Hillary Clinton negli Usa e che il Sì sbloccasse il Paese, lo modernizzasse e altre sciocchezze del genere.
Insomma, il cittadino non ha capito. E forse è anche vero. Sarebbe bello che ognuno votasse con consapevolezza, avendo la libertà di informarsi, di approfondire, di sapere con precisione che cosa si cela nei meandri di questa opacità che continuiamo a chiamare democrazia. Sarebbe bello, ovviamente. Solo che le circostanze del tempo mettono di fronte alle persone una doppia controindicazione, rispetto alla consapevolezza: gli affanni della vita quotidiana e la mancanza di una narrazione non ispirata da fonti interessate e di parte.
Non è roba da poco. Al trentenne che non trova lavoro, delle fibrillazioni del mercato non frega assolutamente niente. Men che mai il salvataggio delle banche, perché di soldi in banca non ce ne sono. Al precario che è destinato in virtù della flessibilità del mercato del lavoro a restare precario, senza possibilità di prendere un mutuo, di farsi una casa, una famiglia, di poter pensare ad avere figli se non facendosi mantenere dai genitori, non può interessare l’ennesima promessa di futuro migliore. Perché il presente è una schifezza vera.  Non rimandabile. Poco conta se si usa la modernità dell’inglese se poi la realtà è di un livello di semi-schiavitù.  Ed è ormai evidente sulla pelle di chi non vive una condizione agiata, che niente è stato fatto per migliorare davvero le condizioni di vita. Niente per dare una speranza vera e non propagandata dai media (di parte).
Scrive, condivisibile, Alessandro Gilioli sul fatto che i giovani non abbiamo votato Sì: Nanni Moretti in Ecce Bombo ha detto probabilmente una parola definitiva sulla pretesa di considerarli una “categoria”: quando sfotteva il giornalista che stava facendo un’inchiesta sui “giovani” suggerendogli di intervistare l’amico Vito, che «sa fare molto bene il giovane». Come dire: volete stereotipi e luoghi comuni, eccoveli serviti, così siete contenti e continuate a non capire niente delle complessità e delle diversità che da sempre agitano ogni generazione di nuovi adulti, proprio come infinite differenze e complessità ci sono nelle altre fasce anagrafiche.
Complessità. Questa è la parola chiave che potrebbe semplificare la politica. La realtà è complessa, non bastano le capacità di sintesi davanti alla telecamera o su twitter per affrontarla con capacità, per trovare contrappesi politici. Perché di questo si tratta, di fronte all’assalto devastante del neoliberismo e dei suoi meccanismi distruttivi, la politica ha smesso di svolgere il suo ruolo di compensazione sociale ed equilibrio. Ci ha lasciato in ostaggio senza alcuna protezione.
 Si tratta di rifondare le basi. Di leggere le statistiche che mostrano impoverimento e vuoto di prospettive per tante fasce della popolazione. Si tratta di non farsi pagare le campagne elettorali dai padroni, da chi è interessato a mantenere un sistema infame di ingiustizie.
Perché poi la risposta è quella che vediamo. Il populismo, la vendetta del meno protetto contro il personaggio famoso, contro chi con la scusa che la democrazia è questa cosa qui, vive in un mondo dorato e privo di problemi reali. La risposta a quel punto è che vadano nelle istituzioni personaggi improvvisati sulle ali della rabbia. E dimenticare le basi della democrazia e della costruzione della politica come azione collettiva che deve partire dai territori, dal fatto che non è modernità la cementificazione sempre e comunque a vantaggio dell’imprenditore che paga. Che la ricchezza, lo sfarzo e il successo a ogni costo non sono valori. Che il rappresentante politico non deve essere al servizio delle privatizzazioni, ma della collettività.
Cari direttori dei grandi giornali che spiegate come va il mondo, il giorno dopo a bocce ferme. Fate una cosa rivoluzionaria. Prendete i mezzi pubblici, viaggiate con i pendolari, interrogatevi su come campano i laureati schiavizzati a 500 euro al mese, su come si vive nelle periferie disgregate, su chi vive il dramma della giustizia, dei meccanismi che stritolano i cittadini. Basta, per cortesia, seguire l’enfasi di campagne xenofobe perché legate al conformismo che sempre crea fascismo. Basta sicurezza (per alcuni) e decoro, repressione e salottini televisivi, che sono l’espressione pubblica dei salottini privati, di accordi e favori, di mediocrità che lentamente ha innervato il sistema informativo e politico.
A me rompe le scatole pensare che possa il populismo peggiore prendere il potere in qualunque sua declinazione. Ma la democrazia si salva e si sana rottamando questo metodo del salottino intelligente e ironico, del favore sommesso al potente, dell’accordo aum aum con lo schiavista perché lo schiavo sia mansueto. Dello scambio tra politica ed economia, tra finanza e media, tra giornali e politica in un intreccio che vede sempre e solamente gli stessi protagonisti, mossi amabilmente dagli stessi interessi.
Non facciamo finta che non sia così. Il primo passo per recuperare cultura democratica e senso della politica è spezzare queste connessioni nefaste per le istituzioni, per i media e di conseguenza per i cittadini. E non lo faranno quelli che si godono il vantaggio di questa rete di ingiustizie. Dovremo farlo noi, noi giornalisti, ingegneri, precari, studenti, insegnanti, operai, sfruttati di ogni categoria. Noi che rappresentiamo la classe che fa girare il sistema, quella dei lavoratori cognitivi che permettono alla macchina di ingiustizie e indifferenze di girare oliata. Dalla nostra sofferenza psichica, da quella dei nostri figli, di chi ha studiato perdendo le speranze, di chi non ne ha più, vivendo in territori mortificati dalla speculazione e dall’arricchimento di mafiosi di ogni genere e latitudine, che può venire un risveglio etico. Serve questo risveglio delle coscienze, attraverso la creatività, la bellezza e il senso critico, per invertire il processo, per togliere il terreno da sotto i piedi di chi continua a interrogarsi su come siano stupidi i cittadini. E mentre lo dicono ci calpestano metaforicamente. Sapendo o sperando che l’epoca della mediocrità al potere garantisce assuefazione, conformismo e prevedibilità della risposta.
Sovvertire queste sicurezze è il primo passo. Il secondo è riprenderci ciò che è nostro. E tocca a noi salvare il Paese dal nuovo fascismo che è alle porte.

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