Tangentopoli rubava per il partito, ora si ruba al partito

Quasi a rimpiangere i personaggi della prima Repubblica. Con tangentopoli rubavano per il partito. Lusi, Belsito e Fiorito rubavano al partito. Soldi pubblici, ovviamente.

Tangentopoli rubava per il partito, ora si ruba al partito
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Ennio Remondino Modifica articolo

25 Settembre 2012 - 14.42


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di Ennio Remondino

Chi licenzia chi. Ora stanno a litigare sul dettaglio. E’ la Polverini che licenzia il Consiglio indegno o sono le opposizioni (partecipi al finanziamento straripante dei gruppi), ad aver costretto, con le loro dimissioni di pura opportunità, la combattiva Renata alla ritirata? Primato tra uovo e gallina. Resta il fatto che la politica anche istituzionale spende e spande irresponsabilmente in tempo di miseria e che anche la Polverini (soprattutto lei, governatore garante), di quelle vergognose elargizioni per facili clientele era arbitro. Il distinguo che vedremo raccontato sino alla noia da qui alle prossime elezioni (a Roma, terna tra politiche, regionali e comunali). In versioni ovviamente contrapposte.

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Ladri o furbetti? Una osservazione incontestabile a scandalo caldo che è sfuggita all’attenzione dei più. Il patatrac Lazio nasce dal bengodi di Fiorito (e molti altri). Il caso Belsito, che ha affossato mezza Lega, nasce dalle ruberie di soldi di partito (sempre pubblici) per gli appetiti insaziabili di un Trota e altri pirania della politica padana. Lusi, il parlamentare passato dalla galera al convento, rubava i fondi della Margherita acquistando ville e patrimonio personale. Sintesi del concetto: ciò che è pubblico non è di nessuno, quindi, chi se lo prende non è un ladro ma soltanto un furbo. Anche Roberto Formigni, nel concedere appalti miliardari alla sanità in cambio di vacanze da favola forse lo pensa.

Tangentopoli addio. Loro pensano (opposizioni di varia natura comprese), e noi dobbiamo ripensare. A tangentopoli, tanto per iniziare. Al meccanismo della tangente imposto allora per appalti e commesse pubbliche alla imprenditoria in nome e per conto del partito di appartenenza. Non è che allora qualche spicciolo non sia rimasto in mani private, ma l’intento, la motivazione del rubare, appariva allora minimamente più nobile. Su lottiamo, è l’ideale, cantavano molti di noi ingenuamente, e poi il vivere quotidiano, il mantenere apparati esagerati, imponeva compromessi con la coscienza e anche con la legge penale. Sintesi di un pensierino tarlo che mi buca la testa. Ripensamento di moralità antica.

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Mani pulite. Il primo ad usare l’espressione Mani pulite fu Giorgio Amendola, deputato Pci, nel 1975. Poi, nel 1980, fu il presidente della Repubblica Sandro Pertini a dire: «Chi entra in politica, deve avere le mani pulite». Fortunato Sandro che non ha visto il “listino” della Regione Lombardia oggi. Allora, 1990 e dintorni, fu il nome giornalistico dell’inchiesta giudiziaria per reati contro la pubblica amministrazione della procura di Milano. Storicamente “tangentopoli” cominciò il 17 febbraio 1992 con l’ordine di cattura per l’ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del Psi milanese. La Lega Nord nacque allora, al grido di “Roma ladrona!”. Poi invece…

Distrazione complice. Nonostante la mia attenzione di cronista allora e una ricerca attenta oggi, non sono riuscito a trovare una sintesi numerica degli indagati, dei condannati e degli assolti, tra imprenditori e soprattutto tra i politici di tangentopoli. Stiamo certamente parlando di centinaia di persone. Oggi, con il «Regioni-gate», siamo, temo, soltanto all’antipasto giudiziario che dovrà seguire. Al momento ci accontentiamo delle prime scosse del terremoto: sussulti di avvertimento prima della scossa distruttrice il cui epicentro è ancora da scoprire. Ma quella scossa ci sarà, e forte, scala Richter. Con la politica ad annaspare tra il concesso e il non visto. A far rimpiangere -personalmente- la tempra dura e quasi ingenua dei Primo Greganti.

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