Dei controlli anti-Covid tanto decantati da Musumeci all'aeroporto di Palermo non c'è alcuna traccia

Racconto tragi-comico di come all'aeroporto del capoluogo siciliano nessuno verifica che i passegeri siano in possesso di tutti i requisiti per entrare nella Regione

Aeroporto di Palermo
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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

22 Dicembre 2020 - 16.14


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Necessaria premessa: quanto raccontato è accaduto il 20 dicembre ed è accaduto a me, a tutti coloro che erano passeggeri sulla tratta Roma-Palermo delle 08:30 del mattino di un volo Ryanair.

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Dallo scorso 14 dicembre, secondo le regole imposte dal Presidente Musumeci, per entrare in Sicilia è necessario aver effettuato un tampone molecolare nelle 48 ore prima della partenza, registrarsi a un portale in cui si indicano tutte le proprie generalità e risultato del tampone, oltre che indirizzo del laboratorio dove si è effettuato il tampone.

Se non si effettuato il tampone, bisogna provvedere a Palermo: all’aeroporto c’è uno stand – dicono – dove si effettua un tampone ‘su base volontaria’, altrimenti bisogna recarsi in un laboratorio privato e fino a quel momento stare chiusi in casa in isolamento fiduciario.

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Tante regole, ho pensato. Ma giuste, giustissime: c’è un virus in giro, a Palermo vivono i miei parenti più anziani ed è rassicurante sapere che c’è un filtro così ben organizzato ed efficiente già all’aeroporto.

Quindi nelle 48 ore prima faccio tutto quello che devo fare: tampone molecolare (60 euro), fortunatamente negativo. Iscrizione al portale, in cui indico da dove vengo, dove vado e dove potranno trovarmi nel caso di necessità. Fornisco indirizzi, numeri telefonici, referti medici. Scarico e compilo, per eccesso di scrupolo, anche un’autocertificazione che la Ryanair ha inviato via mail, più una di scorta non compilata, perché non si sa mai.

Sono pronto.

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Mentre sono sull’aereo, la confusione regna sovrana. Un uomo seduto dietro di me ha un’animosa discussione con la sua vicina di posto, una ragazza che avrà più o meno la mia età: “Io ho fatto quello che ti tirano il sangue, quindi sono a posto”.

‘No’, avrei voluto dire io, ‘non lo è. Quello è un test sierologico, le dice se è stato malato negli ultimi 30 giorni, non se è malato adesso’. E penso anche: ‘è normale che dopo quasi un anno che parliamo ogni giorno di queste cose ci sia gente che ancora non ha capito?’.

La risposta della ragazza non mi tranquillizza: “Io l’ho fatto il tampone, quello rapido”. ‘Ma dannazione’, penso io, ‘c’era scritto tutto, anche che bisognava fare quello molecolare e non quello rapido’. Tutti abbiamo più o meno presente come sono gli aerei, quelli della Ryanair in particolare: lo spazio personale è limato all’osso per infilare quante più persone possibile sul velivolo. Persone che, pensavo con una punta di panico, se sono tutte come questi due qua dietro, sono potenziali bombe biologiche. Mi stringo la mascherina e la faccio aderire bene al naso, mentre penso ai controlli all’aeroporto che sicuramente – mi conforto – intercetteranno i due dietro di me e tutti coloro che non sono in grado di seguire le istruzioni.

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Scendiamo. Come sempre, per i palermitani la fila è un concetto astratto che non vale la pena approfondire. Mentre ci si ammassa lungo la rampa che porta verso l’area consegna bagagli (io mi sono tenuto a distanza e ho aspettato che entrassero tutti), mi guardo intorno.

Non vedo niente di diverso. Nessun camice bianco, nessun cartello che indichi un’area controlli, niente di niente. L’unica novità è che l’area bagagli è stata trasformata in un lungo corridoio all’ingresso del quale si trova un banchetto, un signore seduto e un flacone di disinfettante per le mani.

‘Ecco’, penso, ‘ora mi fermano e mi chiedono i documenti’. Faccio per tirare fuori i fogli che tenevo a portata di mano, ma continuo a camminare. Nessuno mi rivolge la parola: l’omino è tutto intento a guardare il telefono, gli altri passeggeri – che, come me, stavano iniziando a capire – affrettavano il passo.

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Il corridoio termina. Si apre una porta scorrevole. Siamo nell’aera arrivi. Oltre le doppie porte, l’uscita.

Dieci minuti dopo essere sceso dall’aereo, ero già in auto. Nessuno mi aveva controllato, nessuno mi aveva rivolto la parola. Non fosse stato per le mascherine, nessuno avrebbe pensato che questo fosse un Natale diverso dagli altri.

Come faranno, mi chiedo, a localizzare il signore seduto dietro di me? Come fanno a fidarsi che tutti si siano registrati a un portale online se è evidente che la maggior parte della popolazione (palermitana e in generale italiana) non è in grado di seguire delle semplici istruzioni, figuriamoci compilare un form online?

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Con queste domande in testa, mi avvio verso il Natale 2020.

Buona terza ondata a tutti.

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