Mancano posti in terapia intensiva: "Rischiamo più morti d'infarto che per virus"
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Mancano posti in terapia intensiva: "Rischiamo più morti d'infarto che per virus"

La denuncia arriva dalla Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi (Foce)

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24 Novembre 2020 - 13.12


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La denuncia arriva dalla Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi (Foce): Malati di cuore gravi e infartuati potrebbero rischiare, in caso di bisogno, di non trovare posto nelle terapie intensive cardiologiche, che in questa situazione di emergenza pandemica vengono convertite in molti casi in terapie intensive Ciovid. 

“Denunciamo la gravissima situazione che si sta determinando negli ospedali a danno dei pazienti cardiologici. Dalla Lombardia alla Sicilia vengono ridotti i posti letto cardiologici per fare posto ai pazienti Covid, addirittura vengono chiuse intere unità di terapia intensiva cardiologica e convertite in terapie intensive Covid. Il rischio concreto è di avere nelle prossime settimane più morti per infarto che per Covid”, è l’allarme della Foce. L’infarto, spiegano gli specialisti, è “tempo-dipendente e va garantita l’operatività delle strutture”. Ciò vuol dire, chiariscono il vicepresidente Foce Ciro Indolfi e il segretario Francesco Romeo, che la “tempestività dell’intervento fa la differenza fra la vita e la morte. Non possiamo permettere il depotenziamento dei centri”.

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“Durante la prima ondata della pandemia, uno studio della Società Italiana di Cardiologia (SIC), condotto in 54 ospedali italiani, ha valutato la mortalità dei pazienti acuti ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva Coronarica, confrontandola con quella dello stesso periodo dello scorso anno – afferma Indolfi, anche presidente SIC -. A marzo 2020, si è registrata una mortalità tre volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019, passando al 13,7% dal 4,1%. Un aumento dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente. La tempestività dell’intervento può fare la differenza fra la vita e la morte. Ogni 10 minuti di ritardo nella diagnosi e nel trattamento di un infarto miocardico grave, infatti, la mortalità aumenta del 3% e un intervento successivo ai 90 minuti dall’esordio dei sintomi può addirittura quadruplicare la mortalità. Non possiamo permettere – rileva – il depotenziamento delle cardiologie ed è necessario riorganizzare negli ospedali percorsi ad hoc per i pazienti cardiopatici acuti che dal territorio si ricoverano in urgenza”.

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“Mi risulta che, anche nel Lazio, si stiano penalizzando le strutture cardiologiche e si stiano chiudendo anche alcuni dei centri che eseguono elevati numeri di angioplastiche primarie – spiega Romeo, anche presidente della Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus -. Più in generale, il numero di ricoveri per patologie cardiovascolari è crollato. Invece, va preservata la rete dell’emergenza cardiologica. Chiediamo a tutti di segnalarci situazioni di disagio per i pazienti”.
Il presidente Foce Francesco Cognetti lancia dunque un allerta: “Assistiamo con grande preoccupazione alla sottrazione di chance di cura, che rischia di vanificare vent’anni di progressi nella riduzione della mortalità per questi pazienti.

Chiediamo al Governo di stilare atti formali di indirizzo e coordinamento, per porre un argine a questa situazione. Uno dei punti irrinunciabili per la tutela delle persone con malattie oncologiche e cardiologiche, alla cui realizzazione è chiamato a lavorare il Tavolo Tecnico fra il Governo e Foce da poco istituito – conclude – riguarda infatti proprio la garanzia della piena operatività di tutte le strutture di oncologia medica, cardiologia e ematologia, anche a livello ambulatoriale”

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