Caso Regeni, lo show di Renzi in commissione parlamentare: non ho sbagliato niente, rifarei tutto
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Caso Regeni, lo show di Renzi in commissione parlamentare: non ho sbagliato niente, rifarei tutto

Non c’è niente da fare. La parola autocritica non esiste nel vocabolario politico renziano. Al massimo, ci può essere qualche “mancamento”, uno stiracchiato “si poteva, forse...” Ma...

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Novembre 2020 - 17.36


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Non c’è niente da fare. La parola autocritica non esiste nel vocabolario politico di Matteo Renzi. Al massimo, ci può essere qualche “mancamento”, uno stiracchiato “si poteva, forse…” ma se non gliela si è fatta è sempre colpa di qualcun altro, di un “sabotatore” politico o di un fattore esterno. Al massimo può avere “rimpianti” ma “pentimenti” mai, non se ne parla. Proprio. Una riprova di questa forma mentale, metapolitica, è venuta oggi, quando il senatore senatore di Italia Viva, è stato ascoltato dalla Commissione Regeni in quanto presidente del Consiglio a tempo del rapimento e uccisione di Giulio Regeni in Egitto. 

Tutto giusto

Va dato atto al senatore di Rignano di aver affrontato nel suo lungo intervento tutte le questioni calde legate al rapimento e al brutale assassinio del giovane ricercatore friulano. “Abbiamo messo in campo tutto quello che potevamo” . E ancora: “Devo rivendicare con forza ciò che ha fatto il Governo. Lo faccio con estrema convinzione perché si è trattato di una risposta dell’Italia e non di un singolo a un fatto inaccettabile. Abbiamo messo in campo tutti gli strumenti appena avuta la notizia”., esordisce l’ex presidente del Consiglio.  E così articola la sua affermazione: “Appena informati della scomparsa di Giulio Regeni abbiamo segnalato immediatamente la cosa ai massimi livelli egiziani. Al ritrovamento del corpo abbiamo spiegato con molta chiarezza ad al-Sisi che non avremmo accettato verità di comodo”. “Dal 31 gennaio del 2016, appena saputo della vicenda e capito che rischiava di essere drammatica e seria, noi vertici del governo ci siamo messi in moto”.  ” “Se ho rimpianti? Voglio essere sincero, sì. Tante volte ho pensato che forse se avessimo saputo prima avremo potuto agire prima. Ma quello che è certo è che dal momento in cui siamo venuti a conoscenza dell’evento c’è stata una reazione di squadra da parte di tutto il Governo”. “Chiedemmo cooperazione giudiziaria” “La prima cosa che abbiamo detto all’Egitto è stata che i nostri magistrati dovevano poter indagare, abbiamo chiesto cooperazione giudiziaria. Non era scontato. Un lavoro straordinario che dimostra che l’Italia non fa sconti a nessuno”. 

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L’intervista imbarazzante

 “Io personalmente ho chiesto al presidente al-Sisi di accettare di rispondere alle domande di un media italiano. La scelta è caduta su Repubblica che si era mostrata molto interessata alla battaglia per la verità sulla morte di Giulio Regeni. Abbiamo preteso che fosse il presidente stesso a rispondere”.

E in effetti, l’intervista ci fu. E che intervista…Addirittura in due puntate, che neanche Barack Obama… Una intervista che ha al suo clou, in questa incalzante domanda: “Signor Presidente, che idea si è fatta della morte di Giulio Regeni’”.

Che idea?! Manco fosse stata rivolta a uno che passava lì per caso e. a cui si chiedeva un parere. 

 “Durante un incontro informale con il presidente egiziano al-Sisi nel settembre 2016 ad Angiò, durante il G20, gli dissi che ero addolorato per ciò che era successo a Giulio Regeni e gli comunicai le mie preoccupazioni e le mie richieste”, dice ancora Renzi. Preoccupazioni e richieste totalmente inevase. Ma questo per il prode Matteo è un dettaglio insignificante.

Tanto più che nel suo mirino entra la perfida Albione.  “” Durante l’incontro con la nuova primo ministro del Regno Unito, Theresa May, andai giù piatto con lei perché secondo me su questa storia un paese amico come il Regno Unito non ha chiarito fino in fondo. Mi limito a dire questo. C’è qualcosa che non torna nella professoressa universitaria inglese che non risponde alle domande sulla morte di Giulio Regeni. La trovo una cosa inaccettabile”. 

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Difensore d’ufficio

“Ritirare l’ambasciatore adesso non significa mettere in difficoltà l’ambasciatore e due aziende italiane, ma sembrerebbe finalizzato a parlare all’opinione pubblica e non alla ricerca della verità”, sentenzia Renzi. E già qui ci sarebbe molto da dire. “Chi dice che l’Egitto non ha fatto nulla per le indagini sulla morte di Giulio Regeni, non si rende conto di quel che è l’Egitto. Probabilmente li qualcuno pensava cavarsela facendo finto di niente, ma gli abbiamo ritirato l’ambasciatore, abbiamo rifiutato verità di comodo, abbiamo portato il tema nei tavoli internazionali e abbiamo portato al Cairo le autorità giudiziarie. Noi abbiamo fatto quel che deve fare un paese civile”. 

Insomma, Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio, Amnesty International Italia, le associazioni per i diritti umani egiziane, i cui dirigenti sono stati sbattuti in carcere dal regime egiziano,  blogger, giornalisti che hanno continuato a denunciare l’omertà e le deviazioni operate dalle autorità egiziane nella ricerca di esecutori e mandanti di quello che sin dal primo momento si è presentato come un “omicidio di Stato”, insomma tutti quelli che hanno avuto modo di ridire, con composta e determinazione, sull’azione dei vari Governi italiani succedutisi dal giorno del ritrovamento del cadavere di Regeni -il Governo Renzi, il Governo Gentiloni, il Governo Conte i e il Conte II –  sono non solo ingenerosi, almeno con il suo di Governo, ma non si rendono conto di “quel che è l’Egitto”.

E invece, senatore Renzi, se ne rendono conto, eccome. L’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi è uno Stato di polizia, dove la tortura è prassi quotidiana, dove le galere sono piene di attivisti e avvocati dei diritti umani, di blogger, oppositori di ogni tendenza. Dove, come hanno sempre sottolineato Paola e Claudio Regeni, di “Regeni” egiziani ce ne sono stati tanti. E continuano ad esserci. Uno Stato di polizia che ha superato nel numero dei desaparecidos le giunte militari fasciste dell’Argentina.

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 “Questo livello di collaborazione deve proseguire e soprattutto l’Egitto deve far giudicare i colpevoli. Deve venire fuori la verità”, si auspica Renzi.  “Magari qualcuno in Egitto cercava di cavarsela facendo finta di niente, noi abbiamo fatto quello che deve fare un Paese civile: portare giornalisti, istituzioni e magistrati”. 

L’inviato speciale

“Non metto minimamente in discussione la scelta che la Camera ha fatto di istituire la commissione d’inchiesta, che come tale rispetto. Io penso che in questa fase ciò che servirebbe al Paese, l’ho detto al professor Conte e a Gentiloni, è un’autorità delegata. Penso che la legge di riforma dei Servizi che prevede la possibilità e non la necessità debba essere interpretata nella scelta di nominare un sottosegretario con questa delega. Nel caso di specie, io credo che ciò che serve in Egitto non è il ritiro della diplomazia, ma l’invio di un inviato speciale nominato dal presidente del Consiglio perché aiuti nella ricerca dei responsabili”. 

Un inviato speciale?! Sai che paura per il presidente-faraone. Già sta tremando. 

 Incurante della realtà, Renzi prosegue nella sua narrazione. E detta la linea: “Va perseguita la strada del dialogo con l’Egitto, con le condizioni di una democrazia liberale, e va fatto in modo coordinato. Se va il ministro degli Esteri va lui, non come con il primo governo Conte con cui prima andava il ministro degli Esteri, poi il presidente della Camera, poi il presidente del Consiglio”. “Si va con uno stile, un Paese serio gestisce questa dinamica sapendo che siamo in una complicatissima pagina”.

E qui si chiude lo show. Ma l’applauso non scatta.

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