La parabola della nostra lotta al Covid: prima eroi disarmati e adesso fatalisti inconcludenti

Dopo la prima emergenza in questi mesi non abbiamo fatto nulla per migliorarci. Scuola, sanità, trasporti. Però chiudiamo le scuole guida e i ristoranti a mezzanotte

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Claudio Visani Modifica articolo

19 Ottobre 2020 - 08.56


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Siam messi e fatti coì. Quando stiamo per affogare  (guerre, terremoti, alluvioni, pandemia) sappiamo reagire, dare il meglio, riemergere, perfino farci ammirare. Appena il pericolo si allenta torniamo quelli di sempre: incapaci di capire la lezione, borbonici, savoiardi, parolai, specialisti negli annunci di ciò che non facciamo mai.

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Sta andando così anche col Covid. Eroi disarmati nella prima fase. Tira a campá nella seconda, fatalisti e inconcludenti, sperando che passi, confidando nell’aiuto esterno (oggi l’Europa, ieri “Franza o Spagna purché se magna”), in Padre Pio, nella Madonna o nel più laico “bus de cul”.

In questi mesi non abbiamo fatto niente, o quasi, per migliorarci nei fondamentali. E ora che si sta facendo di nuovo gnara; ora che mobilità, sanità, scuola, tecnologia sono di nuovo messi alla prova, scopriamo che ci mancano gli autobus, gli insegnanti, i medici, il personale e le strutture per fare i tamponi, i vigili e i poliziotti per contrastare gli assembramenti, e che Immuni ha scoperto finora la bellezza di 13 positivi. Però chiudiamo i ristoranti a mezzanotte e le scuole guida per fermare l’avanzata del virus.

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