Quando in assemblea difendemmo Zavoli dagli strali dei vertici Rai
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Quando in assemblea difendemmo Zavoli dagli strali dei vertici Rai

Un ricordo di Nuccio Fava, ex direttore del Tg1 e del Tg3, del giornalista scomparso ieri.

Sergio Zavoli
Sergio Zavoli
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Nuccio Fava Modifica articolo

6 Agosto 2020 - 14.54


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Caro direttore, ti chiedo ospitalità per Sergio Zavoli mio maestro e amico. Fu lui a suggerirmi di partecipare alla selezione nazionale di oltre 800 giovani di tutta Italia per formare 15 nuovi radio telecronisti. Non ne sapevo nulla e Zavoli mi suggerì di partecipare al concorso dopo avermi sentito parlare accanto a Ferruccio Parri nell’aprole del 1966, nell’incandescente clima della Sapienza a causa della morte di Paolo Rossi, studente di architettura giunto nell’ateneo per accompagnare la sorella, matricola a lettere.
Una volta in Rai al Tg, mentre Zavoli lavorava sempre a Tv7, io ero divenuto presidente del comitato di redazione. Ci trovammo alle prese con un caso molto grave “un codice da rifare” realizzato da Zavoli, che non piacque a settori del vertice di viale Mazzini, specie al vicepresidente De Feo.
Convocata una assemblea molto numerosa, ben oltre il numero di giornalisti e personale del tg, si presentò anche il vice presidente con la richiesta di potere intervenire. Non senza imbarazzo dichiarai che come presidente dell’assemblea avrei rispettato la richiesta di parola ma che avendo convocato la riunione proprio sul caso sollevato dalla trasmissione di Sergio Zavoli, non mi sentivo in alcun modo disposto a riascoltare critiche e giudizi già ufficializzati e pubblicizzati dallo stesso vicepresidente Rai e pur concedendogli la parola mi rifiutavo di ascoltarlo e lasciavo comunque la presidenza.
Avviandomi subito verso l’uscita dallo studio fui man mano seguito da tutti i partecipanti e il vicepresidente si trovò solo di fronte al microfono senza ascoltatori. Zavoli insomma era un giornalista scomodo ma autorevole, non perché provocatore e utilizzatore di effetti speciali, ma perché tentava sempre di scandagliare e approfondire le sue inchieste, anche nel convento delle suore di clausura o realizzando lo straordinario processo alla tappa, che non ha avuto eredi.
Mi scuso per il carattere forse troppo personale di questi ricordi che possono però contribuire a far comprendere la ricchezza culturale ed umana di un giornalista, il suo valore e l’utilità non comune di seguirne le tante espressioni utili forse per l’uso combinato delle immagini e della voce, per quanti ragazze e ragazzi volessero affrontare questo affascinante mestiere.

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