Quando anche Silvia Melis dopo la prigionia fu insultata perché "ripulita" e viva

Nel 1997 Silvia Melis, ragazza sarda rapita dall'Anonima Sequestri, fu liberata. E anche lei fu insultata e sospettata di essere complice dei carcerieri. Oggi Silvia Melis ha scritto a Silvia Romano

Silvia Melis e Silvia Romano
Silvia Melis e Silvia Romano
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

15 Maggio 2020 - 18.03


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Io lo ricordo lo striscione in viale Marconi a Cagliari: “Silvia libera”. Era il 1997 e la Silvia di quell’epoca era la nostra Silvia Melis. I carcerieri erano i nostri. Non erano musulmani. Non erano cristiani. Erano criminali esaltati. Quelli per cui i sardi per decenni si sono vergognati di essere sardi.

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Ricordo la liberazione. Avevo l’allenamento in piscina alla Rari nantes. Vedo l’istruttore che corre verso la mia corsia. Urla a tutta la piscina: “Hanno liberato Silvia”. Ci fermiamo tutti. L’acqua smette il suo frastuomo. I polmoni stanchi spezzano il fiato. Galleggiamo storditi e felici. Poi si urla di gioia.

E poi ricordo un’altra cosa. Le portano il figlio. Corre verso la sua mamma, si abbracciano e lui tutto fiero con la manina aperta le dice: “Mamma ora ho 5 anni”.

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L’ho rivista Silvia Melis a Tortolì l’estate scorsa. È ancora giovane. Magra, svelta, voce sicura di sé. Chi sa come è vivere sapendo che dopo più di vent’anni la gente ancora si ricorda di te. Del tuo inferno.

Silvia Melis oggi ha scritto a Silvia Romano. Potrebbe essere la sua mamma.
“Hanno odiato anche me perché mi ero mostrata alle telecamere ripulita, in ordine, hanno dubitato della prigionia. Tranquilla, Silvia poi si dimenticheranno anche di te”.

Io Silvia Melis non l’ho dimenticata. Non ho dimenticato che dopo di lei ho fatto pace con il mio essere sarda.
Me le sono immaginate abbracciare queste due donne figlie di storie e terre diverse. Ma odiate perché donne e soprattutto perché salve. Vive.

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Ora che ci penso come ci permettiamo noi donne di sopravvivere? Di sorridere dopo il dolore? Come ci permettiamo di salvarci?

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